Diffuse soprattutto nelle provincie della Romagna e nella Repubblica di San Marino, le carte romagnole sono tra i mazzi che rientrano nel gruppo dei semi latini e, in particolare, in quelli di tipo spagnolo. Presentano una forte similitudine con le carte napoletane benché il seme di denari risulti più simile a quello delle carte piacentine.
Storia delle carte romagnole
Le origini delle carte romagnole sono probabilmente comuni a quelli degli altri mazzi di seme spagnolo utilizzati in Italia. La loro introduzione si deve, quindi, quasi certamente alla presenza degli spagnoli nella penisola a partire dal 13° secolo. La reale diffusione risalirebbe però al 16° secolo: una traccia piuttosto chiara della popolarità delle carte ‘spagnole’ in area romagnola è rappresentata da Le sorti intitolate Giardino d’i pensieri, un testo dedicato alle arti divinatorie ed alla cartomanzia pubblicato nel 1540 da Francesco Marcolini da Forlì, un editore e libraio forlivese attivo principalmente a Venezia.
Le carte da gioco, in realtà, erano piuttosto comuni nel Centro e Nord Italia già nel corso del secolo precedente. A Bologna, nel 1423, San Bernardino da Siena definiva le carte da gioco “opera del diavolo”; qualche decennio dopo, in Toscana venivano proibiti quasi tutti i giochi di carte con i ‘naibi’, le carte di derivazione araba. Nei secoli successivi, però, il veto sui giochi di carte cadde in Romagna, così come un po’ in tutta Italia; non a caso, a Ravenna erano presenti diverse fabbriche di carte già nel Settecento.
Carte da gioco romagnole: caratteristiche
Un mazzo di carte romagnole è composto da 40 carte, divise in quattro semi (spade, coppe, bastoni e denari) da dieci carte ciascuno. Ogni seme è composto da tre ‘figure’, il re, il fante e il cavaliere, e da sette carte che rappresentano le cifre dall’1 al 7. Dal punto di vista iconografico, le carte romagnole si caratterizzano per il disegno piuttosto chiaro e ben dettagliato, oltre che per l’uso di colori vivaci (giallo, rosso e blu). La carta più caratteristica è certamente l’asso di denari, quasi una carta bianca, molto simile a quelli presenti nelle carte bresciane e bergamasche. Le figure, invece, tradiscono maggiormente l’influenza ‘spagnola’ e, non a caso, sono assimilabili a quelle delle carte napoletane: i re sono raffigurati in piedi a figura intera, così come il cavaliere.
Giochi carte romagnole: quali sono
Con le carte romagnole, così come con qualsiasi altro mazzo di seme spagnolo, è possibile fare una gran varietà di giochi. Oltre a quelli più noti e praticati in tutta Italia come, ad esempio, la scopa, il tressette e la briscola, ce n’è uno tipicamente romagnolo: il “Marafone Beccacino”, spesso indicato anche come“Tressette con taglio”.Diffuso anche nel ferrarese, dove viene chiamato “Trionfo”, è un gioco simile al Tressette che prevede anche un seme di briscola.
Il Marafone (o “Marafò”) utilizza una gerarchia delle carte in cui quella di maggior valore è il 3; seguono, nell’ordine, il 2, l’asso, il re, il cavallo e il fante. Le altre carte non hanno valore e, per questo, sono chiamate scartine o lisci (come avviene nella briscola). Si gioca in quattro, con la possibilità di formare due squadre da due. Scelto il mazziere, questi distribuisce ad ogni giocatore dieci carte coperte; chi ha in mano il quattro di denari “battezza”, ossia sceglie il seme di briscola. Poi, gioca una carta a suo piacimento; gli altri giocatori, se possibile, devono rispondere calando una carta dello stesso seme: la presa va al giocatore che ha calato la carta del seme di briscola più alto oppure a quello che ha giocato la carta dello stesso seme ma con il valore maggiore. Chi vince la presa effettua la giocata successiva; si procede in tal modo fin quando non si completano le dieci prese. Alla fine di una mano, vince il giocatore (o la squadra) che ha totalizzato 41 punti in base al seguente sistema di assegnazione del punteggio:
1 punto per ogni asso;
1/3 di punto per le figure, il 2 e il 3;
1 punto per l’ultima presa della mano;
3 punti per la Maraffa, aggiudicata al giocatore che ha preso le tre carte di maggior valore (asso, 2 e 3).
Il calcolo del punteggio prevede che le frazioni di punto vengano arrotondate per difetto; ciò vuol dire che se un giocatore o una squadra ha totalizzato 8 punti e 1/3, si vedrà assegnati 8 punti.
Altro gioco tipico dell’area romagnola è lo “Spela gallina”. Si gioca in due, ciascun giocatore riceve 20 carte coperte a testa. Non c’è una vera gerarchia ma si riconosce un valore determinante soltanto all’asso, al 2 e al 3 di ogni seme. Quando un giocatore cala una di queste carte, l’altro deve rispondere, calando un numero di carte corrispondente; se, tra queste, non ce n’è una compresa tra asso e 3, perde la mano e l’altro giocatore effettua la presa, mettendo le carte sotto a quelle che già ha in mano.Alla fine, vince chi riesce a prendere tutte le carte dell’avversario.
Le carte toscane fanno parte del gruppo dei semi francesi, un tipo di mazzo diffuso principalmente in Italia Settentrionale; non a caso, fanno parte di questa tipologia anche le carte regionali genovesi, milanesi e piemontesi. Le carte del mazzo toscano e della variante fiorentina si caratterizzano per il disegno delle figure, particolarmente elegante e dettagliato.
Storia delle carte toscane
Le prime tracce della presenza di carte da gioco nella città di Firenze risalgono al 14° secolo. In particolare, un’ordinanza datata 1377vietava l’utilizzo dei ‘naibi’ (o ‘naibbe’), il nome di origine araba (da na’ib, ossia “rappresentante del re”) con il quale venivano indicate all’epoca le carte da gioco. Quasi sessant’anni più tardi, il Catasto della città di Firenze testimonia la presenza di un “cartaro”, tale Antonio di Giovanni di Ser Francesco; questi produceva le matrici in legno necessarie a stampare le carte da gioco. In un documento catastale datato 1446, inoltre, viene menzionato un altro artigiano, Jacopo di Poggino; ciò fa presupporre che in città ve ne fossero diversi ma non ancora identificati. Per buona parte del 15° secolo, i giochi di carte furono proibiti a Firenze; i primi ad essere concessi, a partire dal 1477, furono il ‘pilucchino’ e il ‘gioco delle minchiate’, per il quale veniva usato un mazzo di carte simile ai tarocchi. Nel corso del tempo, le carte fiorentine– diffuse solo a Firenze e nelle zone limitrofe – si distinsero leggermente da quelle toscane, utilizzate in tutta la regione. Le prime, infatti, erano un po’ più grandi (67×101 mm) e presentavano figure in pose differenti e dal disegno più accurato. A partire dagli anni Sessanta del Novecento, la pubblicazione delle carte fiorentine divenne sempre più sporadica, fin quando non furono completamente sostituite da quelle toscane; queste ultime vennero prodotte in due formati, uno grande (67×101 mm) e uno leggermente più piccolo (88×58 mm). Le prime sono state commercializzate con la denominazione “toscane vecchie” per distinguerle da quelle originarie.
Carte da gioco toscane: caratteristiche
Il mazzo di carte toscane consta di 40 carte, divise in quattro semi, identici a quelli francesi: picche, quadri(detti anche ‘mattoni’ o ‘denari’), fiori e cuori. Per ciascun seme, sono presenti dieci carte: sette raffigurano le cifre da 1 a 7 mentre le restanti tre sono costituite da tre figure: il gobbo (o fante), la donna e il re (o regio). Il valore delle figure varia in base al gioco nel quale vengono impiegate le carte.
Rispetto ad altri mazzi di seme francese, le carte fiorentine sono le uniche a presentare le figure intere, mentre le altre hanno le figure specchiate.Le carte dall’1 al 7 sono assimilabili in tutto e per tutto alle carte francesi, con la differenza che al posto delle carte dal 8 al 10 ci sono le figure; inoltre, gli assi sono meno grandi ed elaborati.
Giochi con le carte toscane
Così come accade per le altre carte da gioco regionali, anche le toscane devono la loro diffusione ed il largo utilizzo ad una vasta gamma di giochi di tradizione popolare. Tra i più noti vi è certamente il Sette e mezzo; le regole sono semplici: si può giocare minimo in due, massimo in dodici. Una volta scelto il mazziere, questi distribuisce una carta coperta a sé stesso e ad ogni giocatore e poi lo ‘affronta’ a turno in senso antiorario. Lo scopo è quello di superare il punteggio del mazziere senza andare oltre i sette punti e mezzo. Se il giocatore ha ricevuto una carta bassa, può chiederne altre al mazziere (o bluffare); questi le cala scoperte, fin quando il giocatore non dice di non volerne più. Qualora totalizzi sette e mezzo, deve girare la carta coperta. A quel punto, tocca a chi detiene il mazzo scoprire la propria carta, cercando di avvicinarsi al punteggio di sette e mezzo. Se ritiene di aver raggiunto o superato il punteggio del giocatore, non gira altre carte e il suo avversario deve far vedere la propria carta coperta. In caso di parità, vince il banco.Per il calcolo del punteggio va tenuto conto che le figure valgono mezzo punto.
Altro gioco molto noto e praticato è la Scopa (con le relative varianti dello Scopone). Si gioca per lo più in due, oppure in 4 o in 6.Le carte hanno un valore gerarchico crescente che va dall’asso (1) al re (10). Il mazziere distribuisce tre carte coperte a ciascun giocatore e ne mette quattro scoperte sul tavolo. Quando è il suo turno, ogni giocatore può calare una carta sola e fare una presa su una carta di pari valore o su più carte la cui somma è uguale al valore della carta che ha in mano, a patto che non sia possibile prendere una carta equivalente. Per esempio: a terra ci sono un 7, un 3 e un 4. Se un giocatore ha in mano un altro sette, non potrò prendere il 3 e il 4 assieme ma potrà prendere solo il 7. Se, a seguito di una presa, non restano carte a terra, il giocatore fa ‘scopa’ e realizza un punto. Gli altri punti, ovvero primiera, ori, carte e settebello, si calcolano in base al tipo di carte conquistate dal singolo giocatore tenendo conto delle seguenti equivalenze: coppe: cuori, quadri: denari, fiori: bastoni e picche: spade; la donna vale 8 e il gobbo vale 9.
Anche la briscola si può giocare con le carte toscane. Le regole sono le stesse applicate nel resto d’Italia, varianti escluse: si gioca in due o più, anche in numero dispari; la gerarchia delle carte assegna 11 punti all’asso, 10 punti al 3, 4 punti al re, 3 al gobbo e 2 alla donna. Le altre carte sono lisci, perché non hanno valore. Per le carte dello stesso seme, vale la gerarchia di punti sopra indicata; le carte del seme di briscola, invece, prevalgono sulle altre. Ogni giocatore riceve tre carte coperte dal mazziere, il quale mette sul tavolo una carta scoperta (seme di briscola) e la copre con il mazzo di carte restanti dal quale, dopo ogni giocata, un giocatore ne prende una nuova.
Molto simili a quelle napoletane, le carte siciliane appartengono – così come il mazzo partenopeo – al gruppo dei semi latini; nello specifico, vengono classificate tra i semi spagnoli, caratterizzati dal disegno chiaro e lineare che, pur essendo molto decorato, si presenta meno barocco e ricercato rispetto ad altre carte regionali.
Carte da gioco siciliane: la storia
Così come per le altre carte regionali, anche le origini di quelle siciliane non sono note con certezza. Molto probabilmente, la loro diffusione risale alRinascimento e fu incentivata dalla dominazione spagnola (dal XIV° secolo in poi). In realtà, le carte siciliane presentano numerose analogie con quelle arabe, ed in particolare con le carte che i Mamelucchi Egizianiintrodussero in Spagna già nel Trecento. Si trattava di un mazzo di 52 carte, caratterizzano da una serie di simboli che si sono poi conservati sotto forma di disegni e figure nelle carte di seme spagnolo (come quelle napoletane). L’influsso arabo si può apprezzare nella figura del cavaliere, raffigurato a dorso di un cavallo grigio, riferimento sia alla tradizione cristiana (l’ingresso di Cristo a Gerusalemme) che a quella islamica (gli sceicchi entravano nelle città dominate cavalcando un asino); in aggiunta, la denominazione della carta in dialetto siciliano – Sceccu o Sciccareddu – ha la stesso origine della parola “sceicco”. La popolarità delle carte da gioco in Sicilia aumentò notevolmente nel Rinascimento, quando le costose carte dipinte a mano su pergamena o cuoio furono rimpiazzate da quelle stampate con la tecnica della xilografia.
Le caratteristiche delle carte siciliane
Il mazzo siciliano conta 40 carte, 10 per ciascuno dei quattro semi: denari (o ‘aremi’, in dialetto siciliano), bastoni (o ‘mazzi’), spade e coppe. Ogni seme comprende tre carte sulle quali sono riprodotte tre ‘figure’: la donna (al posto del fante), il cavaliere e il re. Le altre raffigurano, per analogia, le cifre dall’1 al 7. Ciò nonostante, ciascuna carta può acquisire un valore diverso dalla cifra che rappresenta in base al gioco nella quale viene utilizzato. Le carte siciliane sono connotate da un certo simbolismo; le figure, ad esempio, ricordano i protagonisti delle saghe di epoca carolingia mentre l’asso di coppe è raffigurato come un lebete nuziale, utilizzato nelle colonie della Magna Grecia durante la celebrazione dei matrimoni pagani. Nelle monete che rappresentano il due di denari, invece, è raffigurato un profilo maschile (Vittorio Emanuele III di Savoia o Ferdinando delle Due Sicilie) mentre il tre dello stesso seme contiene il simbolo della Trinacria. La moneta centrale del cinque di denari riporta la scena di una biga (ripresa da una moneta da dieci lire); nei primi mazzi, vi era invece l’effige di Giuseppe Garibaldi. Questi eraraffigurato anche nel cavaliere di coppe o spade. In generale, le carte da gioco sono molto simili a quelle del Tarocco Siciliano, che però conta ben 64 carte.
Giochi con le carte siciliane
Sono numerosi i giochi che si possono fare con le carte siciliane. Oltre a quelli diffusi a livello nazionale (scopa e briscola su tutti), infatti, ve ne sono diversi tipicamente regionali. Uno di questi è certamente il Cucù, in cui le carte hanno valore ‘analogico’ dall’1 al 10. Il mazziere gira una carta coperta ad ogni giocatore; questi, dopo averla vista, può deciderla se passarla ad un altro, alla sua destra. Chi ha ricevuto il re, gira la carta e ‘blocca’ il passaggio da parte del giocatore alla sua sinistra e dichiara il ‘Cucù’. Terminato il giro, le carte vengono scoperte e chi ha quella con il valore più basso perde e paga un pegno (una ‘posta’). Piuttosto diffusa è anche la versione con il “morto”, ossia il giocatore che ha perso tutte le poste (in genere tre) rientra se riesce a farne parlare un altro ancora in gioco.
Altro gioco di radicata tradizione in Sicilia è il Ti vitti, espressione dialettale che significa “ti ho visto”. Si gioca in due o più persone ed ha regole molto semplici. Il mazziere distribuisce a ciascun partecipante un uguale numero di carte coperte che formano un mazzetto; il giocatore non può guardarle né modificarne l’ordine ma deve soltanto tenerle coperte. Lo scopo del gioco è finire le proprie carte prima degli altri. Il gioco comincia con un giocatore che scopre una carta dalla cima del proprio mazzo. Se si tratta di un asso, va messa al centro del tavolo e ogni giocatore dovrà ‘posare’ una carta dello stesso seme per creare una scala fino al 10 (re). Se non è possibile poggiare la carta sul mazzo centrale, lo si può poggiare su quella scoperta sopra il mazzo di un altro giocatore, a patto che la propria carta sia dello stesso seme e maggiore di un’unità. Ad esempio, se un avversario ha il quattro di coppe ‘scoperto’, un giocatore può poggiarvi sopra il cinque di coppe.
Infine, si può menzionare anche il “cavazzuddu”, una sorta di corsa dei cavalli. Vengono allineate le quattro carte raffiguranti i cavalli(sui quali si può scommettere) e affiancati ad una fila di carte incolonnate sul tavolo. Ogni carta avanza di una posizione (ossia di una carta) in base al seme della carta scoperta dal mazziere di volta in volta: se, ad esempio, viene calata una carta di spade, il cavaliere di spade avanza di una posizione. Finite le carte del mazzo, si girano quelle incolonnate sul tavolo nel caso in cui sia necessario per decretare il vincitore.
Le carte piacentine sono tra le più belle e riconoscibili carte regionali italiane; vengono utilizzate diffusamente non solo a Piacenza e provincia ma in parte dell’Emilia occidentale (oltre che in alcune zone della Lombardia, della Marche e in Garfagnana) mentre nel resto della regione si usano perlopiù le carte bolognesi e romagnole. Come quelle napoletane e siciliane, le carte piacentine fanno parte dei cosiddetti “semi spagnoli” che, a loro volta, rientrano nei “semi latini”, caratterizzati da un disegno lineare ma ricco di dettagli.
Storia delle carte piacentine
La genesi delle carte piacentine è incerta; secondo alcune fonti, vennero importate dalle truppe francesi per poter giocare alla Aulette, un antico gioco di origine spagnola affermatosi in Francia durante il periodo rinascimentale. Queste carte furono poi ridisegnate dagli artisti piacentini, probabilmente ispirati da un mazzo disegnato dallo spagnolo PhelippeAyet nel 1574 circa (e ora conservato a Madrid): tra le principali analogie, il fatto che le figure siano tutte in piedi, compresi i re che – in molti altri mazzi regionali – siedono su di un trono. Le carte piacentine assumono il loro aspetto attuale a metà Ottocento, grazie all’attività dello stampatore Lattanzio Lamperti che inizialmente si ispirò ai disegni del milanese Ferdinando Gumppemberg (il quale, a sua volta, aveva reso il disegno generale del mazzo più elegante) per poi creare delle carte più originali, vestendo le figure in guise vagamente medievali.
Nel 1950 si registra l’ultima variazione che, tutt’oggi, caratterizza in maniera significativa le carte piacentine con le ‘figure doppie’ (o ‘specchiate’) in luogo di quelle intere, per far sì che le carte non venissero date girate come segnale tra i giocatori. Ad oggi, il mazzo con le figure speculari è il più utilizzato.
Carte da gioco piacentine: caratteristiche
Come tutte le altre carte regionali italiani, quelle piacentine sono 40, divise in quattro semi (coppe, spade, denari e bastoni). Ciascuno conta sette carte che rappresentano progressivamente le cifre dall’uno al sette, mentre le altre sono le ‘figure’, ossia il fante, il cavallo e il re. Dal punto di vista artistico, il mazzo piacentino presenta diverse analogie con quello romagnolo, soprattutto per quanto riguarda la posa delle figure. Il disegno è particolarmente ricco di dettagli e rende ciascuna carta molto caratteristica.
L’asso di denari è di certo la più peculiare: raffigura un’aquila coronata (in dialetto locale chiamata ‘Polla’) il cui ventre è occupato da cerchio bianco dove, fino al 1972, si trovava l’imposta di bollo per la tassa sulle carte. L’asso di bastoni, invece, è rappresentato da un tronco tagliato avvolto da una rampicante mentre quello di spade è una sciabola impugnata da un putto e avvolta da una corona floreale. Molto ricco e decorato anche il disegno del cinque di spade.
Giochi carte piacentine: quali sono i più importanti
Le carte piacentine possono essere utilizzate per una gran varietà di solitari e giochi. Tra i più diffusi e popolari vi è certamente la Scopa. Diffuso in tutta Italia, la si può giocare in due, tre, quattro o a coppie (due o tre). Ogni giocatore riceve tre carte coperte mentre il mazziere ne mette quattro scoperte sul tavolo. La ‘presa’ può essere fatta prendendo una carta uguale (di seme diverso) o più carte, a patto che queste ultime rappresentino la somma del valore della carta giocata (e sul tavolo non ce ne sia una analoga). Se un giocatore prende tutte le carte rimaste a terra con una sola presa mette a segno una ‘scopa’, che gli vale un punto. Gli altri punti sono: denari (maggior numero di carte del seme denari), settebello (va a chi prende il sette di denari), settanta o primiera. Per calcolarla si assegnano 21 punti ai sette, 18 ai sei, 16 agli assi, 15 ai cinque, 14 ai quattro, 13 ai tre, 12 ai due e 10 alle figure. Naturalmente, con il mazzo piacentino si possono giocare anche lo Scopone con le relative varianti.
Altro gioco fattibile con le carte piacentine è il Tressette, in tutte le varie declinazioni praticate a livello regionale e nazionale. Una caratteristica comune è la gerarchia delle singole carte, che assegna il valore più alto al tre e il più basso al quattro. Una mano di Tressette si articola in diverse ‘passate’, fin quando ogni giocatore non ha calato tutte le carte. Di norma, si risponde al ‘palo’ con una carta dello stesso seme e chi ha calato quella più alta effettua la ‘presa’. Se si risponde con una carta diversa (‘piombo’), non si ha diritto alla presa.
Forse derivata da giochi francesi, la Briscola fa parte del campionario dei giochi tradizionali italiani, giocabile anche con le carte piacentine. Il numero di giocatori (singoli) varia da due a cinque mentre a squadre si può giocare in quattro o in sei. Le regole sono piuttosto semplici: il mazziere dà tre carte coperte a ciascun giocatore e ne lascia una scoperta a terra (il seme di briscola). Dopo ogni giocata, i giocatori prendono una carta da sopra il mazzo lasciato sul tavolo, fin quando non viene pescata l’ultima. La Briscola ha una gerarchia delle carte molto particolare: l’asso vale 11, il tre vale 10, il re 4, il cavallo 3 e il fante 2. Le altre carte non hanno valore e sono dette lisci. Ogni carta del seme di briscola prevale (e dà diritto alla presa) su tutte le altre mentre per carte dello stesso seme vale la gerarchia di cui sopra. Se si risponde ad una carta di valore con una di seme diverso, la presa va al giocatore che ha calato per primo.3
Famose in tutta Italia ed ampiamente utilizzate in Campania e nel resto del Meridione, le carte napoletane sono tra le principali carte da gioco italiane. Rientrano nel gruppo dei semi latini e, in particolare, nella categoria dei semi spagnoli; questi ultimi si differenziano da quelli italiani per il disegno più regolare delle spade (corte e dritte) e dei bastoni, simili a randelli affusolati. Le carte napoletane sono molto simili e a quelle piacentine e siciliane.
Storia delle carte napoletane
È probabile che la configurazione delle carte napoletane abbia avuto origine nel 16° secolo, al tempo del Vicereame spagnolo (come testimoniato dai baffi e dalle acconciature delle ‘figure’). Furono i viceré spagnoli, infatti, ad imporre – già nel 1577 – una tassa sulle carte da gioco prodotte a Napoli e nel resto del Vicereame.I produttori di carte da gioco divennero una sorta di casta, che tramandava gelosamente la propria arte di generazione in generazione. Nel corso del tempo, le carte hanno subito l’influenza degli eventi storici: il re di spade, ad esempio, raffigurava dapprima re Ferdinando (a Napoli) e, successivamente, Vittorio Emanuele. La comparsa di vari giochi a partire dal 18° secolo ha contribuito notevolmente alla diffusione delle carte napoletane.
Carte da gioco napoletane, caratteristiche
Un mazzo di carte napoletane conta 40 carte, dieci per ciascuno dei quattro semi (denari, bastoni, spade e coppe). Il valore delle carte varia in base al gioco nel quale sono impiegate. Le prime sette carte di ogni seme raffigurano per analogia le cifre dall’uno (asso) al sette, mentre sulle altre sono raffigurate delle ‘figure’: l’ottava carta è una donna, la nona è un fante a cavallo e la decima è un re. Tra le carte più caratteristiche ed elaborate vi sono il tre di bastoni, sulla quale è riprodotto il mascherone del Gatto Mammone, il cinque di spade (arricchito da scene di semina), l’asso di denari (una figura bilobata sormontata da un’aquila a due teste), il due e il tre di spade (avvolte da un nastro rosso).
Giochi con le carte napoletane
I giochi di carte sono parte integrante della cultura popolare partenopea, in quanto profondamente radicati nella tradizione sociale e conviviale. Anche per questo, vengono utilizzate per una vasta gamma di giochi; i più popolari sono:
La Scopa: gioco di antica tradizione, diffusosi a partire dal 18° secolo. Si gioca in due, in tre o in quattro o in coppie (da due o da tre giocatori). Dopo aver individuato il mazziere, ogni giocatore riceve tre cartecoperte mentre sul tavolo ne vengono distribuite quattro scoperte. Il gioco procede in senso antiorario dalla destra del mazziere; ciascun giocatore cala una carta per volta, fin quando non ha esaurito quelle ricevute: a questo punto, il mazziere distribuisce nuovamente tre carte coperte a tutti, fin quando non si esaurisce il mazzo. Quando cala una carta, il giocatore può prenderne una uguale di qualsiasi altro seme oppure più carte la cui somma è uguale al valore della carta giocata: con un quattro, ad esempio, si possono prendere un tre e un asso o una coppia di due ma se a terra c’è un altro quattro, il giocatore può prendere solo quest’ultimo.Se, fatta eccezione per l’ultima giocata, con una sola carta si prendono tutte quelle rimaste sul tavolo, il giocatore mette a segno una ‘scopa’, che vale un punto. Gli altri punti di questo gioco sono:
– carte o lunga (“cart’ a lluong”, in dialetto napoletano): il punto va a chi raccoglie il maggior numero di carte, 21 se si gioca in due, 14 se in tre;
– denari: si aggiudica il punto il giocatore che ha più carte del seme denari, 6 se si gioca in due, 4 se si gioca in tre;
– settebello è riconosciuto a chi prende il sette di denari;
– primiera o settanta: viene calcolato in base al valore assegnato alle singole carte: i sette valgono 21, i sei 18, gli assi 16, i cinque 15, i quattro 14, i tre 13, i due 12, le figure 10.
Scopone: variante della Scopa, si gioca solo in quattro. Ogni giocatore riceve subito nove carte (se quattro vengono messe a terra) o dieci. I punti sono gli stessi della Scopa, ai quali si aggiungono il Rebello (un punto al giocatore che ha preso il dieci di denari) e la Napola (tre punti per chi raccoglie le prime tre carte del seme di denari più un punto per le successive).
Briscola: di origine parzialmente sconosciuta, questo gioco (forse derivato da giochi francesi) è caratterizzato dal mancato rispetto della gerarchia dei semi. La carta che vale di più (11) è l’asso mentre il tre ne vale 10; gli altri punti sono assegnati alle figure: 4 al re, 3 al fante, 2 alla donna. Le altre carte (lisci) non hanno valore. A briscola si può giocare in due, tre, quattro o cinque giocatori; ciascuno riceve tre carte. Il mazziere ne mette una scoperta sul tavolo (che identifica il seme di briscola) coprendola con il mazzo di carte restanti, dal qualeogni giocatore, dopo aver calato la propria carta, ne pesca un’altra. La gerarchia delle carte prevede che quelle di maggior valore prevalgano sulle altre mentre quelle di briscola (anche senza valore) possono ‘prendere’ anche quelle di un altro seme di valore più alto. Se un giocatore cala un liscio su un altro liscio, le carte vanno a chi ha giocato per primo. Della briscola esistono diverse varianti: ‘a 31’, ‘scoperta’, ‘a chiamata’ e ‘Marianna’.
Tressette: poiché si tratta di un gioco dalle numerose varianti regionali, non ha regole predefinite. Il numero di giocatori varia da due a otto; si può giocare a ‘coppia fissa’, a ‘pizzico’, a ‘31’, con ‘l’accusa’, a ‘chiamare’ e ‘a perdere’.La gerarchia delle carte, generalmente, è la seguente: tre, due, asso, re, cavallo, fante, sette, sei, cinque e quattro. Una ‘mano’ è composta dalle ‘passate’ necessarie ad esaurire le carte date ai giocatori; la presa viene effettuata dalla squadra o dal giocatore con la carta più alta del ‘palo’. Il giocatore che non ha una carta del ‘palo’, ha un ‘piombo’: può giocare qualsiasi carta ma non ha diritto alla presa.
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Ulteriori dettagli sul servizio
Utilizzate principalmente a Bergamo e in provincia, le carte bergamasche sono un mazzo regionale di seme italiano; di conseguenza, presenta numerose affinità con i mazzi di carte bresciane e trentine, soprattutto per quanto riguarda la foggia dei semi.
Storia delle carte bergamasche
Con tutta probabilità, le carte bergamasche derivano dai tarocchi lombardi, in uso nella regione già tra il XIV° e il XV° secolo; nel corso del tempo il numero delle carte è drasticamente diminuito (passando da 78 a 40) e il disegno si è consolidato sugli stilemi che ancora oggi caratterizzano il mazzo standard, per influsso del mazzo trentino o di quello bresciano. La tradizione bergamasca in fatto di carte da gioco si consolida nel 1876, quando in città apre una piccola bottega per la produzione cartaria, la Masenghini. Acquistata nel 1918 da Romolo Lombardini, verrà presa in gestione dai figli (Adriano e Scipione), prima di essere assorbita dalla Dal Negro nel 2003. Nel corso degli ultimi due secoli, il disegno delle carte è rimasto pressoché immutato. A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, la Italcards provò a rinnovarlo, proponendo un mazzo con figure più semplici e numerali più decorati, senza però incontrare il favore del pubblico.
Caratteristiche delle carte bergamasche
Il mazzo bergamasco è formato da 40 carte, divise in quattro semi: denari (“ori”), bastoni, coppe e spade. Ogni seme conta dieci carte, ossia le numerali dall’asso al 7 e tre figure (il fante, il cavaliere e il re), rappresentate divise in maniera speculare (con un taglio orizzontale leggermente inclinato) anziché a figura intera come accade, invece, nelle carte bresciane e trentine. In alcuni mazzi vengono inserite alcune carte aggiuntive, da utilizzare come segnapunti.
Le carte che presentano un’iconografia caratteristica sono diverse; tra queste vi è l’asso di bastoni, raffigurato come un’asta sorretta da una mano e decorata con un cartiglio sul quale si legge la scritta “Vincerai”. L’asso di spade, invece, ricorda le corrispondenti in altri mazzi regionali a seme italiano: una spada retta da una mano con attorno una corona e, all’interno di questa, una decorazione floreale.
L’asso di coppeè ispirato all’emblema della famiglia Sforza del XIV° ed è raffigurato come una fontana dalla forma geometrica, con sopra un amorino bendato. La carta viene denominata, in dialetto, “bòcia” (il ragazzo), “pisa lòbia” o “pisì”, perché l’amorino sembra intento a fare pipì da una loggia (lòbia), secondo un’usanza piuttosto diffusa quando le abitazioni non erano dotate di servizi igienici. L’asso di denari, chiamato “bözla” in dialetto, è costituito da un semplice cerchio rosso e blu (o rosso e giallo) e riporta il nome dell’azienda stampatrice.
Il 2 di spade, per via della forma, è spesso chiamata ‘vagina’ con termini dialettali (per analogia, l’asso di bastoni rappresenta il pene); la carta 4 di spade è detta “Margì”, dal nome della moglie di Gioppino, celebre maschera bergamasca. Il disegno raffigura una donnina all’interno dello spazio individuato dall’incrocio di una doppia coppia di spade.
Giochi con le carte bergamasche
Le carte bergamasche consentono di fare qualsiasi gioco da tavolo che richieda un mazzo da quaranta carte; pertanto, viene utilizzato per giocare a Scopa, Briscola, Scopone e Tressette, incluse tutte le varianti locali, purché giocabili con lo stesso numero di carte. A questi, naturalmente, si affiancano altri giochi, diffusi a livello locale come il “Cotècc”, una variante del Tressette nota non solo in Lombardia, ma anche in Emilia e nel Triestino. Nel bergamasco, il gioco ha ispirato un modo di dire: “Ciapà e turnà, a l’è ü zöch de cotecià” (“Prendere e rispondere è una tecnica del Cotècc”).
La versione bergamasca prevede che si giochi in 5; ad ogni giocatore vengono distribuite sette carte coperte, mentre le altre carte restano fuori dal gioco. Lo scopo è quello di cercare di non fare punti ma il giocatore di turno ha l’obbligo di rispondere con una carta dello stesso seme; in caso contrario, gli viene assegnato un punto (“bòla”). Al raggiungimento di quattro “bòla”, il giocatore viene eliminato, ma può rientrare raddoppiando la posta in palio e un punteggio più alto degli altri giocatori. Quando la partita prosegue solo con quattro giocatori, si mettono sul tavolo due carte scoperte, dette “spie”; ciascuna costituisce l’asse del proprio seme e vale sei punti. Anche il tal caso, il regolamento prevede di assegnare un punto a chi totalizza il punteggio più alto (due in caso di parità). Quando un giocatore prende tutte le carte, fa “cappotto” (“capòt”, in dialetto) e gli viene decurtato il punteggio di un punto, a meno che non sia a zero e, contestualmente, ne viene assegnato uno agli altri giocatori. Per sventare questa possibilità, i giocatori devono effettuare almeno una presa, accontentandosi anche di carte che non assegnano punti. In caso di parità tra i due finalisti con 4 punti, tutti i partecipanti rientrano in gioco la partita procede ad eliminazione, secondo il meccanismo di assegnazione di un punto ogni qual volta lo prevede il regolamento.
La Margì (dal soprannome assegnato al 4 di spade) è un altro gioco tipicamente bergamasco. Le regole sono molto semplici: una volta ricevute le carte, ogni giocatore deve scartarne le coppie dello stesso valore. Chi ne ha di più in mano inizia a giocare; il giocatore di turno pesca una carta tra quelle dello sfidante alla sua sinistra: se così facendo forma un’altra coppia, la può scartare. Il gioco procede così fin quando un solo giocatore resta con in mano una sola carta spaiata, detta appunto “La Margi”.