La “Bestia” è un gioco di carte italiano di origine francese, contraddistinto da regole affini alla Briscola e al Tressette. Nato fra il 17° e il 18° secolo, deriva dal Triomphe, del quale rappresenta una versione a più giocatori assimilabile all’Hombre spagnolo. Viene descritto per la prima volta all’interno dell’Académie Universelle des Jeux del 1739 mentre la prima citazione in un testo italiano risale alla metà dello stesso secolo.
Successivamente, varianti e derivazioni del Bête d’oltralpe si sono sviluppate un po’ in tutta Europa, Italia compresa. Ad oggi, infatti, il gioco è praticato e diffuso in tutto lo Stivale e, pur avendo assunto i tratti del gioco d’azzardo, non è considerato illegale. Va però sottolineato come nella sua forma originaria la Bestia settecentesca presentasse numerose differenze con quella moderna; da questo punto di vista, si distingueva per meccanismi di gioco più simili al Tressette ed alla famiglia del Trionfo. Oggi, invece, è caratterizzato da maggiori affinità con la Briscola. In questo articolo vediamo quali sono le regole della versione ‘classica’ e come si sviluppa una partita a ‘Bestia’.
Regole Bestia: come si gioca
Il gioco di carte Bestia, come accennato, ha regole non dissimili da quelle della Briscola classica (compresa quella disponibile briscola gratis online su app come quella di Digitalmoka), benché vi siano alcune significative differenze.
Il numero di giocatori varia da un minimo di tre ad un massimo di dieci; per giocare è necessario un mazzo regionale italiano da 40 carte (o uno francese da 52 debitamente ridimensionato). Come nella Briscola, la gerarchia delle carte è la seguente: Asso, 3, Re, Cavaliere, Fante (o Donna, a seconda del mazzo utilizzato), 7, 6, 5, 4 e 2.
Il giocatore primo di mano cala una carta, il cui seme corrisponde al palo (ovvero il seme prevalente) per quel turno. Gli altri partecipanti sono quindi chiamati a rispondere con una carta dello stesso seme; il giocatore che non ha in mano una carta del seme ‘tirato’ è costretto a giocare una carta del seme di briscola (lo stesso dicasi nel caso in cui il ‘palo’ coincida con la briscola). Se non può fare altrimenti, gioca una scartina, lasciando la presa ad uno degli altri giocatori.
Gioco di carte bestia: le fasi
Prima dell’inizio della partita, i giocatori concordano con il mazziere l’ammontare del ‘piatto’, ossia la posta in palio (caratteristica che non si ritrova nella Briscola né nel Tressette) che verrà successivamente divisa tra i giocatori, in base alle prese che hanno realizzato.
Vediamo ora come si gioca a Bestia, attraverso le varie fasi di una partita.
Distribuzione. Il mazziere mescola il mazzo e distribuisce, in senso antiorario, tre carte coperte a ciascun giocatore, mettendone una scoperta sul tavolo a segnalare il seme di briscola.
Licitazione o Dichiarazione. Ricevute le carte, i partecipanti possono fare una ‘dichiarazione’, procedendo nello stesso verso della distribuzione delle carte. Il primo a parlare è quindi il giocatore alla destra del mazziere (il primo ad aver ricevuto le carte da quest’ultimo); questi ha due possibilità: ‘passare’, e quindi rinunciare a giocare, oppure ‘bussare’, e partecipare così al gioco. Lo stesso fanno gli altri giocatori; a quelli che hanno ‘passato’, viene richiesto di prendere nuove carte: se le accettano, si impegnano automaticamente a partecipare al gioco ed effettuare almeno una presa. Questo passaggio assume denominazioni differenti a seconda della zona o della Regione di riferimento: “andare dal dottore”, “prendere il buco”, “prendere il bambino” o “andare a spizzico”. Qualora le carte del mazzo non bastino per tutti i giocatori che hanno ‘bussato’, il mazziere può recuperare quelle scartate in precedenza e, dopo averle rimescolate, usarle per una nuova distribuzione;
Il gioco della carta; a differenza di quanto accade solitamente, nella Bestia il primo di mano non è automaticamente il giocatore ad aver ricevuto per primo le carte ma quello ad aver ‘bussato’ per primo. Va tenuto in conto che una ‘partita’ è formata da due o più ‘smazzate’ e che per ciascuna di queste i giocatori sono tenuti a rimpinguare il piatto con la quota pattuita inizialmente. Ogni ‘smazzata’ si sviluppa nei singoli turni, in cui ogni giocatore ha diritto a giocare una carta tra quelle in proprio possesso. Il giocatore primo di mano cala sul tavolo una carta; gli altri sono costretti a rispondere con una carta dello stesso seme (il ‘palo’), anche se corrisponde a quello di briscola, di valore più alto (in gergo, si dice “ammazzare” la briscola) se possibile. Alla fine del turno, si aggiudica la presa il giocatore che ha messo sul tavolo la carta di valore più alto o una di briscola.
La suddivisione della posta. Al termine di un turno, la posta in palio nel piatto viene divisa equamente: un terzo per ciascuna presa. Se, ad esempio, un giocatore ha effettuato due prese, riceve i due terzi della somma disponibile. Chi non riesce a rispettare la dichiarazione fatta con la ‘bussata’ iniziale, si dice che “va in bestia”, ed è costretto a fine turno a versare nel piatto l’intera posta, così che il gioco possa proseguire con la smazzata successiva. La stessa penalità viene applicata anche ad altre situazioni di gioco; le regole della Bestia prevedono, infatti, che se il primo giocatore di mano ha a disposizione un asso di briscola, deve obbligatoriamente giocarlo; fa eccezione il caso in cui il giocatore abbia in mano il 3 di briscola e la carta scoperta sul tavolo (come segnalatore del seme di briscola) sia un Asso. In aggiunta, dopo una presa, il primo di mano deve per forza giocare una carta del seme di briscola (se ne ha la possibilità).
Gioco bestia carte: il punteggio
Il punteggio di una partita a Bestia si calcola come nella Briscola; si assegnano 11 punti per ogni Asso preso, 10 per ciascun 3, 4 punti per i Re, 3 per il Cavallo e 2 per un Fante (o Donna). Tutte le altre carte del mazzo sono scartine, in quanto non viene assegnato loro alcun valore ai fini del calcolo del punteggio.
Fortemente radicato nella tradizione italiana, il Tressette è uno dei giochi più famosi e praticati del Belpaese, al punto da vantare anche numerose versioni online, grazie ad app per giochi di carte gratis come quella di Digitalmoka.
Al pari della Briscola e della Scopa, anche il Tressette ha origini antiche e incerte e, nel corso dei secoli, ha dato vita a innumerevoli varianti, diffuse a livello locale e regionale, prive di regole codificate con precisione (così come la versione ‘standard’ del Tressette stesso). Ciò nonostante, è un gioco che richiede una buona dose di strategia, da attuare spesso in collaborazione con il proprio compagno di squadra. Questo però è solo uno degli aspetti che rendono il Tressette interessante e degno di nota; un altro è certamente quello relativo alla storia ed alle origini del gioco, nonché del nome, sul quale si sono elaborate, nel corso del tempo, numerose ipotesi (alcune fantasiose, altre più autorevoli). Vediamo in questo approfondimento quali sono le ricostruzioni più plausibili relative alla nascita del Tressette e del nome con il quale lo conosciamo al giorno d’oggi.
Perché si chiama Tressette
Circa l’origine – ancora indefinita – del nome “Tressette” ci sono, come detto, diverse ipotesi che fanno generalmente riferimento a possibili meccanismi e regole in uso nella forma originaria del gioco.
Una di queste attribuisce la denominazione del gioco alla semplice apposizione di “Tre” e “Sette” che, un tempo, avrebbero indicato, rispettivamente, la carta di valore più alto e più basso (scartine escluse); il nome sarebbe poi rimasto in uso anche dopo che il 7 venne deprivato del suo valore minimo (1/3, tanto quanto le tre figure), diventando una scartina a tutti gli effetti.
Leggermente diversa è la spiegazione proposta dal Codice di Chitarrella: “Il giuoco del tressette prende questo nome da tre sette, poiché al tressette a carte scoverte, è di regola che tre sette fanno tre punti”.
Un’altra ipotesi, invece, rimanda al punteggio massimo da raggiungere per vincere una partita, ovvero 21 (tre volte sette), come asserito proprio dal Chitarrella (“per vincere bisogna fare ventun punti”) e, ancor prima, dalle “Regole ed avvertimenti del giuoco del tressette” di Perione Cosentino, pubblicato a Napoli negli anni Venti del Seicento. Nel testo si legge che il gioco “prende la denominazione dall’istesse carte che si contano, come a cagion d’esempio dall’uno, o sia Asso, sino al numero Sette, e propriamente da quest’ultimo numero, perché sul suo bel principio furono le carte di primo conto, ed oggi giorno ancora lo sono in alcune parti di Italia, in tal maniera, che quando tre Sette si accusavano siccome il giuoco termina a ventun punto, così tre via sette, che fan ventuno veniva ad esser il giusto punto del suddetto, e per conseguenza il termine di una partita”.
A confutare questa possibile ricostruzione etimologica, però, vi è il Trattato teorico pratico dei giuochi (pubblicato nel 1832), dove si legge che “alcuni trovano la sua etimologia in tre volte sette che forma 21, numero dei punti che in origine esclusivamente si richiedevano per vincere una partita”. Di contro, si legge, ciò sarebbe plausibile solo se “avesse prima esistito altro giuoco col nome di ventuno”.
Il Trattato, quindi, prova a ricostruire l’origine del gioco (più che del nome) a partire dalla storia delle carte, in contraddizione con alcune delle ricostruzioni formulate all’epoca e nei secoli precedenti. Così facendo riconosce che il Tressette “è facilmente d’invenzione Europea e come vogliono i più spagnola”, e la nascita dello stesso “non è anteriore alla fine del secolo XVI”. A riprova dell’origine rinascimentale del gioco vi è anche una Prammatica (pubblicata sul proprio sito dalla FIGS, la Federazione Italiana Gioco Scopone) emanata nel 1631 dal Viceré di Napoli che indica tra i “Ludi permissi de novo additi” un “tre sette con 11 carte, tre sette scoverto a quattro montoni”, a testimonianza di come la dicitura “tre sette” fosse già di uso comune, così come probabilmente il gioco stesso nella sua forma primordiale.
David Sidney Parlett, nel suo “The Oxford guide to card games” del 1990, fornisce un’ulteriore conferma dell’origine tardo cinquecentesca del Tressette che, nella sua versione originaria, avrebbe rimpiazzato un gioco preesistente (chiamato “Trappola”) e, assieme alla Primiera, contribuito “a consolidare la supremazia del mazzo italiano da 40 carte” a scapito dei tarocchi.
Più significativamente, Parlett sottolinea la possibile relazione tra il nome “Tressette” e lo spagnolo “Tresillo” (da cui deriva “Terziglio”); nello specifico, l’autore scrive: “Terziglio o Tersilio, un nome che implica un gioco a tre mani e chiaramente affine con lo spagnolo Tresillo (Hombre), viene menzionato per la prima volta a Firenze nel 1822 con il nome Calabresella. Rapporti tra i due nomi sono implicati in un riferimento del 1845 al ‘Terziglio, denominato volgarmente Calabresella’ (virgolettato in italiano anche in originale, ndr). Se ‘Calabresella’ e la meno diffusa variante ‘Calabrese’ al posto di Tressette alludessero alla provincia della Calabria, questo potrebbe, di concerto con la similarità nominale di ‘Terziglio’ con ‘Tresillo’ e l’impiego di un mazzo da 40 carte, suggerire una possibile origine nelle regioni italiane precedentemente di dominio spagnolo, se non nella Spagna stessa”.
Pertanto, anche se è difficile rispondere con esattezza alla domanda “perché si chiama Tressette?”, si può azzardare un’ipotesi del genere: il nome, così come il gioco stesso, potrebbe avere origine in Spagna (o nel Viceregno spagnolo di Napoli) nel Cinquecento; da ciò si potrebbe desumere che il termine sia assimilabile a “Tresillo”, successivamente italianizzato per assonanza o sulla base di un’originaria gerarchia delle carte o una particolare regola del gioco.
Leggende sul Tressette
Per quanto riguarda eredità folkloristiche e leggende sul Tressette storia e tradizione si mescolano, assieme a fonti storiche di dubbia attendibilità, specie circa l’origine de gioco. Secondo “Le Regole del Tressette” pubblicate a Catania ad inizio Novecento, ad esempio, il gioco “vuolsi sia stato inventato in Calabria; taluni pretendono essere stato creato in Napoli, altri invece asseriscono che siccome la Calabria faceva parte del regno di Napoli, così a ragione venne anche adottata la parola Napolitana”.
Una vera e propria leggenda, invece, narra che il gioco sia stato inventato da quattro giocatori muti (o sordi) i quali, per poter comunicare, avrebbero messo a punto una serie di gesti (in uso ancora oggi) per scambiarsi informazioni durante la partita.
Gioco della tradizione popolare italiana per eccellenza, la Scopa ha dato origine a numerose varianti, perlopiù di carattere locale o regionale, quasi sempre di origine ignota e contraddistinte da regole mutevoli. Tra le tante ‘variazioni sul tema’ figura anche il cosiddetto “Spazzino” gioco di carte che presenta alcune sottili, ma significative, differenze con la versione più comune della Scopa. Di seguito, vediamo quali sono le regole per giocarvi e le modalità di calcolo del punteggio.
Cos’è lo Spazzino
Lo “Spazzino” è una delle tante varianti del gioco della Scopa, dalla quale si differenzia per alcune variazioni nelle regole di presa e di assegnazione dei punti. È giocata soprattutto nell’Italia settentrionale.
In linea di massima, presenta numerose affinità con la versione più tradizionale della Scopa, quella nota e praticata in tutta Italia e ormai largamente disponibile anche online, grazie ad apposite applicazioni per smartphone come quella di Digitalmoka di scopa online.
Come si gioca allo Spazzino
Così come nella Scopa tradizionale, a Spazzino è possibile giocare sia in due (uno contro uno) che in quattro (con i giocatori che si sfidano due contro due); è necessario aver a disposizione un mazzo da quaranta carte: è possibile utilizzare sia quelle a semi latini sia quelle a semi francesi. Nel caso in cui si abbia a disposizione solo un mazzo di carte francesi, è sufficiente ‘ridimensionarlo’, scartando i jolly e le numerali dall’8 al 10.
Scelto il mazziere, questi mescola le carte e procede alla distribuzione (in senso antiorario): tre carte coperte a ciascun giocatore e quattro scoperte sul tavolo. In aggiunta, ha la possibilità di guardare la carta in fondo al mazzo e, se lo ritiene opportuno, metterla sul tavolo assieme alle altre. Fatto ciò, il gioco si sviluppa come la Scopa classica: ogni giocatore effettua, a turno, la propria giocata, calando sul tavolo una carta e, se possibile, effettuando una presa.
Nelle regole e nei meccanismi di presa si registrano le maggiori differenze con la Scopa tradizionale. Lo Spazzino, infatti, consente al giocatore di turno di effettuare sia la presa con una carta dello stesso valore numerale (5 con 5, 7 con 7 e così via) sia con una carta il cui valore numerale è pari alla somma dei valori di due o più carte presenti sul tavolo. Tale regola ha una specifica eccezione: con le figure (Fante, Cavaliere e Re) non è possibile effettuare prese ‘multiple’ assommando due o più carte. In altre parole, esse consentono di prendere solo carte omologhe di seme diverso; pertanto, con un Re è possibile prendere solo un altro Re e non, ad esempio, un 6 e un 4 assieme.
Per il resto, lo sviluppo della partita non differisce da quello previsto nella forma canonica della Scopa; ogni giocatore, a turno, mette una carta sul tavolo e quando tutti hanno esaurito le carte a propria disposizione, il mazziere effettua nuovamente la distribuzione. Si procede in questo modo fin quando non sono state distribuite e giocate tutte le carte presenti nel mazzo (quelle restanti sul tavolo vanno al giocatore che ha effettuato l’ultima presa). Infine, si calcola il punteggio ottenuto da ciascun giocatore a dalle due squadre; si giocano tante mani quante ne servono per raggiungere i punti necessari a vincere la partita; di norma sono 31, ma i giocatori possono anche accordarsi diversamente prima di cominciare a giocare e, in determinati frangenti, dichiarare in anticipo la propria vittoria.
Come si calcola il punteggio
Come già accennato, lo Spazzino è contraddistinto da un sistema di punteggio diverso da quello della Scopa; le combinazioni utili a disposizione dei giocatori per mettere a segno uno o più punti sono maggiori.
In primo luogo, prendere con una sola carta quella giocata nel turno precedente da un altro giocatore consente di mettere a segno una ‘piccola’ (picula), che vale un punto. Come nella Scopa classica, la presa di tutte le carte sul tavolo vale, anche nello Spazzino, un punto. Viene però definita “spazzina” e vale 1 punto se realizzata con una numerale; se, invece, la presa è con un Fante, vale 2 punti, con un Cavaliere 3 punti e con un Re 4 punti.
La presa di due o più carte con lo stesso seme viene chiamata Bàgher (oanche Bagari o Bàghero), una parola – derivata probabilmente dal tedesco “wagen” – che nel dialetto lombardo indica un carretto scoperto a quattro ruote; la giocata vale un punto per ogni carta presa. Infine, il giocatore che riesce a prendere Asso, 2 e 3 del seme di spade realizza una “napola” da tre punti; tale combinazione assegna tanti punti quant’è il valore numerale della carta più alta in una sequenza di carte di spade. Quindi, se un giocare riesce a prendere tutte le carte dall’Asso al 7, ad esempio, mette a segno sette punti; il giocatore che prende tutte le carte di spade realizza la “napola” da dieci punti, che viene chiamata “napoleone”.
A questi ‘specifici’ punti di presa si aggiungono quelli di mazzo e di presa possibili nella Scopa tradizionale, con quale sottile variazione:
I ‘lunghi’ (o le ‘carte’) valgono due punti anziché uno; se li aggiudica il giocatore, o la squadra che ha raccolto più carte; in caso di pareggio, si assegna un punto a testa;
Le ‘spade’; vengono assegnati due punti a chi ha preso più carte di spade (anziché di denari, come nella Scopa classica). Si assegna un punto in caso di parità;
Il ‘settebello’ vale un punto, che viene realizzato da chi prende il 7 di denari;
Gli onori di spade valgono un punto; se lo aggiudica il giocatore cheprende il 2 o il fante di spade.
Quando finisce la partita
A differenza della Scopa comune, una partita di Sbarazzino può concludersi in due modi:
Al termine di una o più mani, un giocatore o una squadra ha totalizzato un punteggio uguale o superiore a quello concordato per vincere la partita;
Solo se si gioca in due, i giocatori possono accordarsi sulla possibilità di dichiararsi vincitori entro la penultima tornata di gioco, al raggiungimento o al superamento di una soglia di punteggio concordata prima di iniziare la partita. In mancanza di tale accordo, la partita viene portata a termine e si procede con il successivo calcolo del punteggio.
La Briscola conta numerose varianti, diffuse a livello regionale e locale, che possono essere raggruppate in due grandi famiglie di giochi: ‘con le accuse’ e ‘a chiamata’. A questo secondo ramo appartiene anche una versione siciliana, praticabile con 5 o 6 giocatori e comunemente denominata Briscola“con il monte”: in questo articolo, vediamo tutto quanto c’è da sapere in merito, dalle regole di base allo svolgimento della partita fino al calcolo del punteggio.
Cos’è la Briscola con il “monte”
Come già accennato, la Briscola in 5 siciliana o “con il monte” è un tipo di Briscola a chiamata praticata quasi esclusivamente in Sicilia; è nota anche come “Briscola in 6”, poiché esiste una versione con sei giocatori che si sfidano in maniera asimmetrica (una squadra da due contro una da quattro). La denominazione “con il monte” fa riferimento ad una particolarità del meccanismo di gioco per cui, inizialmente, viene lasciato sul tavolo un pozzetto (il ‘monte’) da quattro carte, che i giocatori si contendono durante la fase delle chiamate iniziali. La Briscola in 5 con il monte viene comunemente considerata affine anche alla cosiddetta “Briscola pazza”, una versione della Briscola a chiamata giocata in cinque; ragion per cui, il gioco viene talvolta denominato anche “Briscola pazza siciliana”.
La storia di questa variante
La Briscola, nella sua forma originaria, ha probabilmente origini nord europee; il nome stesso deriverebbe da quello di un gioco nato in Francia nel Settecento. Se le carte da gioco sono arrivate in Sicilia da Sud grazie ai Mamelucchi, la Briscola – così come altri giochi – potrebbe invece essere giunta da Nord, per merito dei marinai (quasi certamente olandesi) che facevano tappa nei porti del Mediterraneo durante il 17° e il 18° secolo. È piuttosto probabile che il gioco si sia diffuso anche in Sicilia proprio in questo periodo per poi evolversi successivamente; è difficile stabilire come e quando le varianti ‘a chiamata’ abbiano fatto la propria comparsa sull’isola: non è da escludere, ad esempio, che tali declinazioni del gioco abbiano potuto risentire dell’influenza del Bridge (che prevede una fase di licitazione non dissimile dalle dichiarazioni iniziali della Briscola a chiamata) o di altri giochi affini.
Regole del gioco
In Sicilia è praticata una versione del ‘Gingo’ (la “Briscola pazza” a chiamata) giocata in 6, nella quale a ciascun giocatore vengono distribuite sei carte coperte dopo aver scartato tutti i 2 dal mazzo.
La variante con il “monte”, invece, prevede che vengano utilizzate tutte e 40 le carte del mazzo; a tal proposito, è possibile giocare con le carte sicilianeoppure con un qualsiasi altro mazzo regionale italiano da 40 carte, a semi latini o francesi. Se si ha a disposizione un mazzo francese da 52, basta scartare le numerali dall’8 al 10 per ottenere un mazzo da 40 carte.
Detto ciò, vediamo in termini pratici come si svolge una partita di Briscola con il monte.
Se si gioca in cinque, il mazziere distribuisce ad ogni giocatore sette carte; le cinque restanti vengono poste coperte sul tavolo; nel caso in cui i giocatori siano sei, ognuno riceve sei carte coperte, mentre le altre formano il ‘monte’. Completata la fase di distribuzione delle carte, si procede con quella delle ‘chiamate’, durante la quale ogni giocatore ‘dichiara’ il punteggio che si impegna a realizzare assieme al proprio socio al fine di vincere la partita. Rispetto ad altre versioni ‘a chiamata’, in quella siciliana il ‘chiamante’ – dopo essersi aggiudicato l’asta – dichiara soltanto il seme di briscola, e non il valore numerale della carta di cui ha bisogno.
Fatto ciò, entra in gioco il “monte”: il vincitore dell’asta prende le carte sul tavolo e le scambia con quattro tra quelle che ha in mano; generalmente si scartano quelle meno favorevoli e si spera di trovare carte più forti o di maggior valore nel “monte”. Solo a questo punto, il chiamante può dichiarare anche il valore della carta di cui ha bisogno per vincere e, in base alle regole della Briscola in 5, si ‘accoppia’ tacitamente con il giocatore che ha in mano la carta ‘chiamata’. Qualora abbia trovato la carta chiamata direttamente nel monte, il chiamante può giocare da solo senza avvalersi di un ‘chiamato’.
A livello locale, specie nella zona di Caltanissetta, è praticata una variante leggermente diversa, le cui regole consentono al chiamante di dichiarare fin da subito la carta necessaria, nella speranza che non sia tra quelle che formano il monte. Qualora dovesse verificarsi tale eventualità, il dichiarante può ‘chiamarsi in mano’ (ossia giocare da solo), nominare un ‘chiamato’ o scegliere come socio il giocatore alla sua destra.
Per il resto, lo sviluppo del gioco segue le regole comuni alla Briscola in 5; valgono le stesse regole di presa con una sola, sostanziale, differenza: il giocatore che si aggiudica l’ultima presa ha diritto a prendere anche le carte del monte.
Come si calcola il punteggio
Le modalità di calcolo del punteggio sono identiche a quelle in uso in qualsiasi altra variante della Briscola, incluse quelle che si possono giocare utilizzando l’app di Digitalmoka di briscola online. Per prima cosa, si procede al computo dei punti totalizzati dalle due squadre sommando i valori delle carte aggiudicate durante i turni, tenendo presente che:
L’Asso vale 11 punti;
Il 3 vale 10 punti;
Il Re vale 4 punti;
Il Cavaliere vale 3 punti;
La Donna (il Fante) vale 2 punti;
Le altre carte numerali (‘lisci’ o ‘scartine’) non hanno valore.
Eseguiti i calcoli necessari, è possibile determinare se il ‘chiamante’ e il suo ‘socio’ hanno guadagnato i punti dichiarati ad inizio partita; se così e stato, ottengono tanti punti quanti sono quelli previsti dalla fascia di punteggio raggiunta. Questo aspetto non è codificato con precisione; di conseguenza i giocatori possono fare riferimento ad un sistema concordato prima di iniziare a giocare. Di solito, più è alto il punteggio dichiarato durante la chiamata, maggiore è il numero dei punti guadagnati in caso di vittoria; di contro, la Briscola a chiamata prevede, solitamente, che qualora il ‘chiamante’ non sia in grado di vincere la propria scommessa, venga penalizzato mentre i giocatori della squadra avversaria guadagnano dei punti in proprio favore.
Le carte francesi sono in assoluto le più famose e utilizzate al mondo; accostate principalmente al Poker (ed alle sue varianti) possono in realtà essere impiegate in molti altri giochi. Lo stesso dicasi per i numerosi solitari di origine europea, compresi quelli che si possono giocare online tramite apposite app per smartphone come quella di Digitalmoka. Ma quali sono i principali giochi praticabili (esclusivamente, o quasi) con le carte francesi? Scopriamolo in questo approfondimento.
Scala 40 e Burraco
Scala 40 è una variante del Ramino di origine (probabilmente) ungherese, diffusasi in Europa e poi nel resto del mondo a partire dal primo Dopoguerra. Come riportato dal sito della FISCA (Federazione Italiana Scala 40), si gioca con due mazzi di carte francesi, inclusi i jolly; le numerali hanno valore nominale, le figure valgono 10 punti mentre ai jolly è riconosciuto un valore di 25 punti.
A ciascun giocatore vengono distribuite 13 carte coperte; il mazziere ne mette poi una scoperta sul tavolo (a fondare il pozzo degli scarti) mentre le altre restano coperte e formano il tallone. L’obiettivo del gioco è formare una ‘scala’, ossia una sequenza completa di carte dello stesso seme, alla quale può essere aggiunto un jolly. In aggiunta, spiega il regolamento FISCA, “è possibile calare una sequenza a scala uguale ad una già calata precedentemente ovvero decidere di attaccare le carte alla stessa”. La combinazione minima giocabile è formata da tre carte di seme diverso, a cui può essere aggiunto un jolly.
Durante il proprio turno, un giocatore pesca una carta dal tallone o dal pozzetto; se ne ha facoltà, mette sul tavolo una combinazione; altrimenti scarta una delle carte che ha in mano e termina il turno. Per ‘chiudere’ è necessario liberarsi di tutte le carte in proprio possesso.
Anche il Burraco si gioca con due mazzi di carte francesi e, pur avendo origini sudamericane, presenta notevoli affinità con Scala 40, benché la preparazione iniziale della partita sia molto più articolata. Dopo che il mazziere ha mescolato le carte, il giocatore alla sua destra lo ‘taglia’, tiene per sé la metà che ha preso dal tallone e forma due pozzetti da 11 carte ciascuno. Le restanti vengono messe sul tavolo; dopodiché, il mazziere distribuisce 11 carte coperte ad ogni giocatore e ripone le rimanenti sul tallone centrale.
A questo punto, la partita può cominciare; chi è di turno può pescare una carta, giocare una combinazione tra quelle consentite o scartare (in tal caso, termina il proprio turno). A differenza di Scala 40, nel Burraco le carte di una stessa sequenza devono essere dello stesso seme mentre le ‘combinazioni’ possono essere composte anche da carte di seme diverso. Una squadra realizza un ‘Burraco’ se riesce a mettere sul tavolo una sequenza di almeno 7 carte mentre per vincere la partita occorre totalizzare 2005 punti.
Il poker e varianti
Il Poker è di gran lunga il più famoso tra i giochi con le carte francesi; in realtà, data l’esistenza di numerose specialità e varianti, è più corretto parlare di una ‘famiglia di giochi’, accomunati dalle medesime dinamiche di base. Il mazziere (comunemente denominato dealer) distribuisce le carte in senso orario; i giocatori, a turno, possono anzitutto scegliere se puntare o meno (chi rinuncia a scommettere fa ‘check’) o ‘passare’, ossia rifiutare le carte ricevute e non partecipare al turno di gioco. In caso di scommessa, gli altri giocatori possono ‘vedere’, scommettendo una somma almeno pari a quella messa in palio dall’avversario oppure rilanciare, effettuando una scommessa più alta. Terminati i giri di scommesse previsti dalla variante o specialità giocata, i giocatori rimasti in partita procedono allo ‘showdown’, ossia mostrano le proprie carte: chi ha la combinazione migliore si aggiudica la posta in palio. Quelle vincenti sono: Scala Reale (K, Q, J, Asso e 10), Scala colore, Poker, Full, Colore, Scala, Tris, Coppia, Doppia coppia e Carta alta.
Bridge ed altri giochi
Il Bridge è un gioco di carte francesi piuttosto antico, erede del Whist praticato già nel Settecento; la fase iniziale di licitazione ricorda vagamente la preparazione di una partita di Briscola a chiamata: a cominciare dal mazziere, ogni giocatore dichiara il seme di atout (ossia quello prevalente) e il numero di prese che si impegna a realizzare (rispetto ad un massimo di 13 disponibili). La squadra che si aggiudica la licitazione rappresenta la linea d’attacco mentre l’altra forma la linea di difesa; in questa fase si individuano anche il ‘dichiarante’ (ossia il primo giocatore della squadra che si è aggiudicata la licitazione ad effettuare la dichiarazione) e il ‘morto’ (il compagno di quest’ultimo che non partecipa alla giocata). A questo punto, il gioco può iniziare: il primo di turno cala la propria carta e gli altri devono rispondere con una dello stesso seme – fatta eccezione per il ‘morto’, le cui carte sono giocate dal ‘dichiarante’ – qualora ne abbiano possibilità, altrimenti possono calare una carta di altro seme. Si aggiudica la presa chi ha giocato la carta di valore più alto. Il calcolo del punteggio è piuttosto complesso: varia a seconda del tipo di partita (si distingue tra ‘libera’ e ‘competizione’) e tiene conto delle prese fatte rispetto a quelle dichiarate.
Altro popolare gioco di carte francesi è la Canasta, che ricorda molto da vicino il Burraco; i giocatori si sfidano nel tentativo di realizzare una sequenza (“canasta”) formata da sette o più carte. La differenza principale è costituita dai meccanismi di formazione delle combinazioni e dal valore assegnato alle carte (le numerali dal 4 al 7 valgono 5 punti, dall’8 al Re valgono 10, gli Assi e le Pinelle 20 punti, il Jolly 50 e il 3 rosso vale 100 punti). Le carte francesi vengono comunemente impiegate per praticare anche giochi d’azzardo come il Baccarà e il Blackjack.
I solitari
Come già accennato, il mazzo francese può essere impiegato anche in numerosi solitari; i più famosi sono il Klondike, il Napoleone, lo Spider, il Pyramid e il Canfield. Essi sono accomunati da un obiettivo simile: raccogliere tutte le carte del tableau – generalmente in ordine numerale progressivo – in una serie di pozzetti, ciascuno dei quali contiene tutte le carte di uno stesso seme. I meccanismi di spostamento e combinazione differiscono tra i vari solitari: in quelli più semplici gli accostamenti non sono vincolati al seme o al colore delle carte, dando così al giocatore maggiori possibilità di gioco.
Tra i tanti giochi di carte che fanno parte della tradizione italiana, il Tressette è uno dei più diffusi, merito anche delle tante varianti praticate a livello locale. Una di queste è il “Pizzico” (o “Spizzichino”) che, a differenza della versione standard, prevede soli due giocatori anziché quattro. Di seguito, vediamo quali sono le regole più comuni di questo gioco (tenendo conto anche di possibili differenze esistenti tra varie tradizioni regionali) e le modalità di svolgimento di una partita.
Con quali carte si gioca
Come per la più canonica versione del Tressette, anche per lo Spizzichino è sufficiente un mazzo da quaranta carte; pertanto, è possibile utilizzare la stragrande maggioranza dei mazzi regionali italiani. In alternativa, si può giocare con le carte francesi (o un mazzo regionale da 52 carte) avendo cura di rimuovere le numerali di ogni seme comprese tra l’8 e il 10, così da ridurre il mazzo a 40 carte. Le stesse che occorrono per giocare, ad esempio, a Scopa online su app come quella di Digitalmoka.
Scopo del gioco
L’obiettivo dei giocatori di Tressette a due è quello di totalizzare più punti rispetto al proprio avversario, così da aggiudicarsi la partita al raggiungimento dei punti prestabiliti (di solito sono 21, ma ci si può accordare per fissare i punti necessari per la vittoria a quota 31 o 41). I punti possono essere cumulati mediante le prese (che ogni giocatore può effettuare durante il suo turno di gioco) oppure con le ‘accuse’, per le quali i due sfidanti si possono accordare (come vedremo meglio più avanti). L’assenza di un compagno di squadra con il quale ‘dialogare’ e impostare una tattica comune vanifica buona parte delle strategie applicabili nella versione classica del Tressette, a favore di un approccio più individuale e modulato sulle carte che si hanno in mano.
Regole del gioco
Per cominciare a giocare, i due sfidanti si mettono d’accordo su chi sia il primo mazziere di turno; fatto ciò, questi mescola il mazzo e comincia a distribuire le carte. In linea generale, ogni giocatore riceve inizialmente dieci carte coperte; poiché questa regola non è codificata con precisione (come del resto, il gioco stesso), in alcune zone d’Italia la distribuzione di prima mano si divide in due turni, in cui le carte vengono distribuite cinque per volta. Un’altra versione del Tressette Pizzico prevede una distribuzione più articolata: quattro pozzetti di carte coperte per entrambi i giocatori; in tal caso, ogni mazzetto resta separato, in quanto le carte non possono essere mescolate tra loro. Chi è di turno, ne sceglie due (dopo aver visto l’ultima carta di ogni mazzetto ricevuto) e gioca con le carte che ha in mano, mentre gli altri due mazzetti vengono messi sul tavolo con l’ultima carta scoperta. In alcune versioni di questa variante, ogni giocatore prende un solo mazzetto e lascia gli altri tre sul tavolo, con la prima scoperta e quindi ‘libera’ per essere giocata successivamente.
Completata la fase di distribuzione, il gioco si sviluppa in maniera leggermente diversa rispetto al Tressette a squadre: il giocatore di mano cala una carta, attingendo dal ‘ventaglio’ che ha in mano o prendendone una scoperta da un mazzetto. La giocata determina il ‘palo’, il seme di briscola valido per il turno, rispetto al quale lo sfidante deve rispondere. Se questi mette sul tavolo una carta di valore più alto, effettua la presa; in caso contrario, la giocata viene aggiudicata all’avversario. Quando si risponde con una carta di seme diverso (in gergo, si dice “giocare un piombo”), la presa va automaticamente a chi era primo di turno. La partita prosegue con gli sfidanti che, a turno, giocano una carta fin quando non hanno esaurito quelle a propria disposizione.
Va tenuto conto che nel Tressette vige una particolare gerarchia delle carte (che ricorda vagamente quella della Briscola), in base alla quale il 3 è prima in ordine di presa, seguito da 2, Asso, Re, Cavallo, Fante (o Donna, a seconda del mazzo), 7, 6, 5 e 4.
Punti del gioco
Alla fine di una mano, si procede al calcolo del punteggio. Al netto delle possibili variazioni regolamentari, i punti nello Spizzichino sono identici a quelli in palio nelle altre varianti del Tressette:
1 punto per ogni Asso preso;
1/3 di punto per ogni 2, 3 o figura.
Le altre carte sono scartine e, pertanto, la loro presa non guadagna alcun punto al giocatore che se le aggiudica. Ai punti di presa si possono sommare quelli delle accuse, se i giocatori si accordano per tempo sulla possibilità di fare ‘dichiarazioni’.
Dichiarazioni
Per quanto riguarda le già citate “dichiarazioni”, ossia le cosiddette “accuse”, non esistono regole univoche; pertanto, occorre distinguere tra la norma generale e i differenti usi regionali. Nel primo caso, la prassi vuole che i giocatori di Tressette a Pizzico non possano fare dichiarazioni e quindi non abbiano la possibilità di cumulare punteggio aggiuntivo con le ‘accuse’. In realtà, in molte parti d’Italia è prassi che due sfidanti possano accordarsi diversamente tra loro prima di cominciare a giocare, ammettendo quindi le accuse tradizionali previste dalla versione classica del Tressette:
Il ‘bongioco’ (buon gioco), ovvero un tris di carte uguali (Asso, 2 o 3); vale tre punti mentre un bongioco da quattro carte uguali guadagna al giocatore quattro punti;
La ‘Napola’ (o napoletana), una combinazione di Asso, 2 e 3 dello stesso seme; vale anch’essa tre punti.
Le accuse, almeno nel Tressette tradizionale a squadre, possono essere dichiarate singolarmente o simultaneamente; in altre parole, un giocatore ha facoltà di dichiarare più ‘bongiochi’ e ‘Napole’. Anche in tal caso, se si gioca a Pizzico questo aspetto può essere deciso in maniera indipendente dai giocatori prima di iniziare la partita; lo stesso dicasi per le modalità e le tempistiche con le quali effettuare la dichiarazione. Per convenzione, il giocatore deve attendere il proprio turno per dichiarare l’accusa in proprio possesso e può comunicare l’accusa a voce o ‘bussando’ con le nocche sul tavolo.
Uno degli aspetti più affascinanti e suggestivi delle carte da gioco è sicuramente rappresentato dai simboli utilizzati per la caratterizzazione dei semi e delle figure. I moderni mazzi standardizzati sono il risultato di un secolare processo di evoluzione, durante il quale segni e simboli hanno conservato il valore originario ma mutato significativamente il proprio aspetto grafico e, non di rado, subito modifiche in relazione a particolari eventi storici. Di seguito, vediamo qual è il significato dei semi delle carte, da dove provengono e cosa simboleggiano.
Semi delle carte regionali
Le carte regionali italiane appartengono quasi tutte a due tipologie di semi: ‘latini’ e francesi. I primi si dividono a loro volta in semi “italiani” e “spagnoli”. L’unica eccezione è quella delle carte salisburghesi, un mazzo a semi tedeschi diffuso in alcune zone dell’Alto Adige (soprattutto Ladinia e Tirolo).
I semi latini sono: Denari (o Ori), Spade, Coppe e Bastoni; nonostante siano noti a chiunque abbia giocato almeno una volta a Scopa o a Briscola, non molti sanno che derivano dai segni delle carte arabe che, come vedremo in seguito, giunsero in Europa nella seconda metà del XIV° secolo. I ‘naibi’ usati dai soldati Mamelucchi, infatti, già presentavano i quattro semi che ancora oggi caratterizzano le carte regionali italiane a semi ‘latini’. Le mazze da polo assunsero con il tempo la forma di semplici bastoni, dal momento che gli Europei, banalmente, non avevano alcuna conoscenza del gioco.
Le Spade si sono evolute al punto da diventare un chiaro discrimine tra mazzi ‘italiani’ e ‘spagnoli’; nei primi hanno lame ricurve, come le scimitarre, mentre nei secondi sono dritte, spesso più simili a lunghi pugnali con l’elsa intarsiata. Lo stesso può dirsi dei Bastoni: tozzi, affusolati e (talvolta) frondosi nelle carte a semi spagnoli, si trasformano in scettri esili e vagamente barocchi in quelle a semi ‘italiani’. Analoga distinzione può essere fatta per le Coppe, che nei mazzi di origine veneta presentano una base di forma esagonale, che li fa somigliare quasi a dei piedistalli ornati.
Le figure delle carte regionali italiane variano sensibilmente da un mazzo all’altro; nelle carte napoletane, ad esempio, il Re è in piedi a figura intera mentre in molti mazzi del Nord Italia, la figura siede sul trono oppure è ritratto specularmente a mezzo busto. Curiosità: l’Asso di Denari è quasi sempre la carta che conserva un cerchio bianco al suo interno, eredità dell’imposta di bollo che si pagava sulle carte. Iscrizioni e motti di spirito sono ulteriori elementi di caratterizzazione, che variano sensibilmente in base alla regione d’origine del mazzo.
Semi delle carte francesi
I semi delle carte francesi, poi diventati simboli del Poker, sono: Cuori, Quadri, Picche e Fiori. Rappresentano quasi sicuramente una semplificazione dei semi tedeschi, risalente alla fine del Quattrocento. Vennero introdotti quasi sicuramente per semplici motivi pratici (era più facile stampare simboli monocromatici) e non, come si credeva, a simboleggiare la suddivisione della società medievale in borghesia, clero, militari e contadini.
Il seme di Picche deriva quasi certamente dal Foglie tedesco (chiamato anche “laub” – foglia – oppure “pik”) benché ricordi la punta di una picca stilizzata; ancor più semplice l’associazione tra il seme tedesco “Hertz” e quello francese di Cuori. Il seme di Fiori è simboleggiato da un trifoglio stilizzato nero (non a caso, in francese è chiamato trifoglio, ossia “Trèfle”), forse ispirato all’Eichel tedesco (il seme di Ghianda). Il seme di Quadri, infine, ha ben poco a vedere con gli Schellen delle carte tedesche (che potrebbero aver ispirato un seme ‘estinto’ nelle carte francesi, quello delle Lune crescenti); il nome originale “Carreau” vuol dire infatti ‘losanga’, un chiaro riferimento alla forma stilizzata del seme.
Per quanto riguarda le figure, le tre di ogni seme hanno tradizionalmente un nome ‘proprio’, che fa riferimento alla tradizione biblica, alla storia francese, alla mitologia classica oppure alla letteratura medievale.
Come sono nate le carte da gioco
L’origine delle carte da gioco resta piuttosto incerta; una delle teorie più accreditate colloca in Cina, forse attorno al X° secolo d.C. la nascita di una primordiale forma di carte da gioco, probabilmente successivamente all’invenzione del processo per produrre la carta. Ragion per cui, per lungo tempo, si è creduto che fossero arrivate in Europa grazie ai viaggi di Marco Polo; oggi sappiamo che non è andata così, benché l’antica Cina possa essere comunque considerata come la ‘culla’ delle carte da gioco. Come ha scritto David Sidney Parlett in “The Oxford guide to card games”, le carte occidentali presentano alcune analogie con le “carte monete” cinesi (usate, verosimilmente, sia come strumento di gioco che posta in palio), non fosse altro per la suddivisione in quattro ‘semi’.
Ciò nonostante, è solo verso la fine del Medioevo che le carte da gioco – in una forma simile a quella moderna – approdano nel Vecchio Continente. “Sono menzionate per la prima volta in Spagna nel 1371, descritte in dettaglio in Svizzera nel 1377 e verso il 1380 citate in posti tanto diversi quanto Firenze, Basilea, Regensburg, il Brabante, Parigi e Barcellona”, scrive Parlett. L’ultimo quarto del XIV° secolo, quindi, è il momento storico in cui le carte da gioco compaiono in Europa; la loro diffusione fu merito dei soldati Mamelucchi egiziani, come confermato da un antico mazzo conservato nel museo del Palazzo di Topkapı di Istanbul. ‘Scoperto’ nel 1939 da L. A. Mayer, e rimasto quasi del tutto sconosciuto fino al 1971, ha permesso di collocare la ‘nascita’ delle carte da gioco tra il XII° e il XIII° secolo; successive ricostruzioni hanno determinato come il mazzo contasse 52 carte, divise in quattro semi (spade, mazze da polo, coppe e monete), ciascuno formato da dieci numerali e tre figure: Malik, Nā’ib malik e Thānī nā’ib ossia, rispettivamente, Re, Vicerè e Secondo o Sotto-Vicerè. Non è difficile intuire come tali figure, nel tempo, siano diventati Re, Cavaliere e Fante (o Donna) nelle carte a semi latini e K, Q e J in quelle francesi.
Dall’arabo “Nā’ib”deriva il termine “naibi”, antica denominazione delle carte da gioco presente già in un’ordinanza comunale di Firenze datata 1376 (con la quale si proibiva un gioco chiamato “naibbe” introdotto in città da poco) e in una Cronaca della Città di Viterbo del 1379 in cui si legge: “fu recato in Viterbo il gioco delle carte, che in saracino parlare si chiama nayb”). Le carte arabe arrivarono (forse) prima in Italia e poi in Spagna, per poi diffondersi in tutta Europa entro la fine del XIV° secolo.
Il gioco del Tressette richiede una buona dose di strategia e qualche ‘trucco’ lecito per aumentare le proprie possibilità di vittoria, così come altri giochi della tradizione come Briscola e Scopa. Quest’ultima è ormai largamente disponibile anche in versione digitale, su app per smartphone come quella di Digitalmoka che consentono di giocare a Scopa online in qualsiasi momento, così da migliorare anche le proprie doti strategiche.
Per quanto riguarda il Tressette, invece, al netto del fattore aleatorio, dovuto alla randomizzazione delle carte ad inizio partita, il gioco ha regole piuttosto variabili, per via delle tante varianti esistenti a livello regionale; pertanto, la strategia al Tressette può cambiare considerevolmente in base alla versione scelta dai giocatori. Di seguito, vediamo quali sono i trucchi che possono essere messi in pratica durante lo svolgimento della partita.
Dichiarare i carichi o richiedere una giocata
La possibilità di fare una “dichiarazione”, diversa dalle “accuse”, è prevista dalle regole generali del gioco; in alcune regioni, un giocatore può dichiarare apertamente i carichi di un determinato seme oppure ‘chiamare’ una giocata al suo compagno. Poiché alcune varianti locali, specie quelle praticate nell’Italia Settentrionale, vietano esplicitamente la comunicazione verbale tra due giocatori della stessa squadra, questi possono far ricorso ad alcuni gesti codificati. Non possono essere considerati dei veri e propri trucchi del Tressette ma di certo rappresentano un vantaggio per i giocatori più esperti che padroneggiano questo particolare linguaggio.
In particolare, quando un compagno di squadra “bussa” con le nocche sul tavolo sta chiedendo al proprio compagno di calare la carta più alta tra quelle che ha in mano e, in caso di presa, giocare nuovamente un palo dello stesso seme. Strisciare una carta sul tavolo, invece, serve a comunicare la disponibilità di almeno un’altra carta di quel seme; una “strisciata” dopo una “bussata” significa che il giocatore ha momentaneamente giocato una carta diversa dal seme forte ma ha comunque la possibilità di fare la giocata ‘chiamata’ dal compagno. Infine, quando una carta viene lanciata sul tavolo, il giocatore intende far sapere che quella è l’ultima di quel palo a sua disposizione.
Assecondare la dichiarazione del compagno
Nel caso in cui il proprio compagno di squadra faccia una dichiarazione, o utilizzi un segnale codificato per ‘chiamare’ una giocata, è bene cercare di seguire le sue indicazioni, ossia effettuare la presa e insistere su quel palo. Se ciò non è possibile, conviene allora applicare la regola seguente, ossia giocare la carta più forte, per avere maggiori possibilità di presa e, al contempo, cercare di far ‘uscire’ la carta richiesta dal compagno.
Giocare prima il palo più forte
Nel gioco del Tressette, le carte hanno una gerarchia che ricorda molto quella della Briscola; la carta di ‘grado’ più alto è il 3, seguita da 2, asso, Re, Cavaliere, Donna (oppure K, Q e J, se si gioca con un mazzo di carte francesi) e poi le restanti carte dal 7 al 4. Pertanto, quando si parla di “giocare il palo più forte” si intende giocare la carta di grado più alto tra quelle che si hanno in mano.
Questa regola, applicabile ad ogni situazione di gioco, riguarda soprattutto il giocatore primo di mano, il cui scopo è mettere sul tavolo una carta che possa favorire il gioco del proprio compagno di squadra (e permettergli di “venire al palo”) e, contestualmente, costringere l’avversario ad una giocata a ‘perdere’ (rispondere con un “piombo” al palo).
Nelle varianti del Tressette che prevedono le “accuse”, invece, la gestione della prima giocata cambia leggermente, dal momento che le carte di grado più alto sono anche quelle che consentono di mettere a segno punti aggiuntivi (la “Napola” o il “buongioco”). Di conseguenza, si tende maggiormente a ‘conservare’ gli assi e i 3 per avere maggiori possibilità di completare un’accusa; al contempo, in base allo svolgimento della partita, può essere opportuno rinunciare all’accusa e giocare una delle carte più forti, per avvantaggiarsi rispetto agli avversari.
Cambiare sempre gioco
Consiglio prezioso soprattutto per i giocatori meno esperti che non sanno quale carta mettere sul tavolo; in casi del genere, è in assenza di ‘dichiarazioni’ da parte del proprio compagno di squadra, è utile giocare un palo di un seme diverso da quelli usciti in precedenza. In alternativa, si può valutare la possibilità di lasciare che gli avversari effettuino una presa, liberandosi di carte senza valore, e attendere che siano loro ad esporsi maggiormente.
Giocare due quando è secondo
Questa giocata, che potrebbe apparire in contrasto con quanto detto in precedenza, va valutata in relazione allo svolgimento del gioco. Se, ad esempio, il proprio compagno di squadra ha fatto una dichiarazione (o una richiesta) esplicita per un palo forte, il 2 – così come l’asso – è la giocata migliore per accontentarlo. Più in generale, calare una delle due quando è possibile aumenta le possibilità di realizzare una presa; di contro, nel Tressette con le accuse, potrebbe essere utile non giocarle subito e provare a realizzare una Napola o un ‘buongioco’, riservandosi la possibilità di sfruttarle in una fase più avanzata della partita.
Di contro, è bene non giocare a stretto giro di posta un “25”, ossia il 2 e il 3 di un determinato palo, a meno che il compagno di squadra non lo abbia richiesto e non si abbiano a disposizione altre carte dello stesso seme.
Conservare qualche carta di seme diverso
Nonostante la possibilità di comunicare, nel Tressette è bene non rendere troppo esplicite le proprie intenzioni, che possono essere intuite anche dagli avversari sulla base delle singole giocate. Per questo, è sconsigliabile scartare subito tutte le carte di seme diverso da quello del palo; il rischio è di confondere il proprio compagno di squadra, il quale non avrà ben chiaro quali carte giocare durante la propria mano. Questo, però, vale anche per gli avversari: di conseguenza, è bene prestare particolare attenzione anche alle carte giocate e scartate dagli altri giocatori in partita.
Assicurarsi l’ultima presa
È importante gestire le giocate in maniera tale da avere maggiori possibilità di realizzare la presa finale, dal momento che l’ultima mano di Tressette garantisce un punto extra. Allo scopo, è possibile rinunciare ad una presa precedente, in base alle carte a disposizione e a quelle che, verosimilmente, sono rimaste in mano agli avversari.
Fin dai primi anni Novanta, la Microsoft rilascia – in dotazione al sistema operativo Windows – un pacchetto di giochi (“Patiente and casual games”, ossia “Solitario e giochi casuali”) che include anche numerosi solitari a carte francesi.
Negli anni a seguire, l’evoluzione di questo tipo di applicazioni è andata avanti, grazie allo sviluppo di apposite app come quella di Digitalmoka, che consente di fare solitari di carte online anche su dispositivi mobili. Tra i tanti oggi disponibili su vari device vi è anche il “Three Peaks”, la cui peculiarità è quella di non appartenere alla tradizione dei più famosi solitari europei (risalenti quasi tutti all’Ottocento) ma di essere nato direttamente come software per computer alla fine degli anni Ottanta. In questo approfondimento, vediamo quali sono le regole che lo caratterizzano e lo svolgimento da seguire per provare a risolverlo.
Cos’è Tripeaks o Three Peaks
Il “Three peaks” (parzialmente italianizzato in “Tripeaks” o “Tri peaks”), talvolta indicato anche come “Tri Towers” o “Triple Peaks”, è un solitario che si gioca con un mazzo francese da 52 carte.
Come accennato, questo gioco è estremamente giovane rispetto ad altri dello stesso genere; è stato infatti inventato da Robert Hogue nel 1989. La versione originale venne rilasciata all’interno del Windows Entertainment Pack 3 all’inizio degli anni Novanta (il pacchetto Patiente & casual games è disponibile dal 1990); successivamente il gioco fu incluso nella dotazione standard della Microsoft Solitaire Collection.
Il nome “Three Peaks” fa riferimento alla sistemazione iniziale delle carte sul tableau, che prevede la creazione di tre piramidi (che, a loro volta, formano uno schema a ‘tre picchi’), costituite da tre file di carte coperte e una, alla base, da carte scoperte (da questo punto di vista, il gioco richiama un altro solitario molto famoso, il Pyramid). Hogue, in realtà, aveva previsto anche delle configurazioni alternative a quella a ‘tre picchi’, con la possibilità di introdurre regole specifiche da applicare ad eventuali varianti; ragion per cui, nel corso degli anni, il solitario ha subito una notevole evoluzione, trasformandosi in giochi molto diversi da quello originario.
Come si gioca
Nella sua versione di base, questo solitario presenta regole molto semplici; ciò nonostante, le probabilità di successo non solo particolarmente alte, dal momento che il risultato finale dipende in buona sostanza dalla randomizzazione del mazzo e dall’ordine con cui le carte sono disposte all’interno del mazzo.
Dopo aver mescolato il mazzo, il giocatore dispone le carte sul tavolo in questo modo:
Tre singole carte coperte nella parte alta del tableau, debitamente distanziate tra loro, a formare i ‘tre picchi’;
Due carte coperte sotto ciascuno dei tre ‘picchi’, leggermente sovrapposte alla carta in cima;
Tre carte coperte, e leggermente sovrapposte a quelle della fila precedente;
Quattro carte scoperte alla base di ciascuna delle tre piramidi create con le carte coperte.
Il resto del mazzo forma il tallone, da collocare alla base del tableau.
Il gioco comincia con il giocatore che scopre una carta dal tallone; questa va posta, scoperta, sul tavolo: costituirà la base del pozzetto‘di scarto’nel quale spostare le carte disposte nel tableau.
È possibile spostare una carta dal tableau al pozzetto quando essa ha un valore numerale superiore o inferiore di una unità rispetto a quello della carta in cima al pozzetto di scarto. Lo spostamento non tiene conto dei semi delle carte ma soltanto del valore numerale; in base a tale principio, quindi, è possibile collocare un 9 di Quadri su un 8 di Picche o un 10 di Fiori; ciò che conta è che la differenza tra la carta in cima al pozzetto e quella presa dal tableau sia pari a uno. Se in cima al pozzetto di scarto c’è un Re (K), il giocatore può spostare una Regina (Q) oppure un Asso; allo stesso modo, sopra un Asso, è possibile collocare un 2 o un Re. Le carte possono essere spostate una per volta.
Il solitario ha iniziato con il giocatore che gira la carta sulla quale fondare il pozzetto di scarto; dopodiché, procede come segue:
Sposta nel pozzetto di scarto tutte le carte immediatamente giocabili, a partire da quelle scoperte che si trovano nella fila più in basso dello schema a ‘tre picchi’;
Quando una carta viene spostata nel pozzetto, quella della fila precedente (alla quale era leggermente sovrapposta) diventa ‘aperta’, e quindi può essere capovolta per essere giocata;
Scopre le carte ‘aperte’ e, se possibile, le gioca spostandole nel pozzetto di scarto;
Quando non è possibile scartare alcuna carta scoperta dal tableau, il giocatore gira la carta in cima al tallone e la colloca sopra il pozzetto di scarto;
Se possibile, riprende a scartare le carte dal tableau come in precedenza e prosegue fin quando gli spostamenti sono possibili e il tallone non si è esaurito.
Obiettivo del gioco
L’obiettivo del gioco è quello di spostare tutte le carte dal tableau al pozzetto di scarto, rispettando le regole di scarto. Il solitario è riuscito quando il giocatore riesce a giocare tutte le carte presenti inizialmente sul tavolo; di contro, se sul tableau restano alcune carte e non è possibile spostarle in alcun modo – anche servendosi di quelle attinte dal tallone – il gioco non può essere risolto.
Lo “Scopone scientifico” è una delle più note versioni dello Scopone, un gioco di carte che fa parte della più ampia famiglia delle varianti della Scopa.
Come quest’ultima, ha origini piuttosto antiche (e altrettanto incerte): basti pensare che una delle più antiche pubblicazioni relative al gioco (“Del giuoco dello Scopone”) risale al 1855; si tratta di un libello di una trentina di pagine, edito a Napoli dallo stabilimento tipografico di G. Nobile. Nella prefazione si legge come, all’epoca, fosse “ignoto dove e quando sia stato messo in uso il giuoco dello scopone, come anche quello della scopa onde esso è derivato”. L’editore, pur avanzando un’ipotesi generica e fantasiosa (“per qualche paesello di una nostra provincia, dove il notaio, il farmacista, il sindaco e il medico uniti insieme la sera non volendo giocare la scopa in due, pare avessero ideato lo scopone”) sottolinea come “nello scorso secolo, i Consiglieri della Regia Camera di S.a Chiara trovavano la sera in questo giuoco un onesto sollievo dopo le gravi cure della giornata”. A cavallo dei due secoli, si legge ancora, lo Scopone penetrò negli ambienti aristocratici, soppiantando di fatti il Whist (un gioco a carte francesi).
La popolarità della Scopa è rimasta intatta fino ad oggi, tanto che è disponibile anche online, su app per smartphone come quella di Digitalmoka.
Regole del gioco
Vediamo ora come giocare a Scopone scientifico.
Si gioca in quattro, con i giocatori divisi in due squadre che si sfidano tra loro; si usa un mazzo regionale italiano da 40 carte o, in alternativa, un mazzo francese debitamente adattato. Scelto il mazziere e formate le squadre, secondo i criteri che i giocatori ritengono più opportuni, il gioco può avere inizio, a partire dalla distribuzione delle carte. È su questo punto che le regole dello Scopone scientifico non sembrano convergere su una norma univoca. Secondo alcuni, infatti, è “scientifico” lo Scopone “a 10 carte”, ovvero la versione del gioco in cui, inizialmente, il mazziere distribuisce dieci carte coperte a ciascun giocatore.
In realtà, la letteratura dedicata al gioco sostiene che il vero Scopone scientifico prevede, inizialmente, quattro carte scoperte sul tavolo (di conseguenza, il mazziere ne consegna nove coperte ad ogni giocatore). Giovanni Saracino, autore de “Lo Scopone scientifico – con le regole di Chitarella” (1963, ed. Mursia), definisce “aberrazioni” alcune varianti del gioco, “come quello a dieci carte”, come riporta il sito ufficiale della FIGS (la Federazione Italiana Gioco Scopone). Anche Luciano Volponi, nel suo “Manuale di Tressette e Scopone Scientifico” pubblicato negli anni Ottanta, distingue lo Scopone scientifico da quello normale, attribuendo al primo la distribuzione iniziale di nove carte coperte ai giocatori, con le quattro residue poste scoperte sul tavolo.
Alcune varianti possono prevedere che, nel caso in cui sul tableau ci siano quattro Re la partita venga mandata a monte e il mazziere debba procedere ad una nuova distribuzione. Non si tratta di una regola standard; ragion per cui – data anche la rarità di una simile eventualità – i giocatori possono accordarsi a riguardo prima dell’inizio della partita.
Valore delle carte
Il regolamento dello Scopone scientifico ricalca quello della Scopa classica anche per quanto riguarda il valore delle carte; esso coincide con il valore numerale, per cui l’Asso vale uno, il 2 vale due e così via fino alle figure, Fante, Cavaliere e Re, che valgono rispettivamente, 8, 9 e 10.
Ai fini del calcolo della Primiera, anche la gerarchia valoriale delle carte è la stessa valida nella Scopa:
Il 7 vale 21 punti;
Il 6 vale 18 punti;
L’Asso vale 16 punti;
Il 5 vale 15 punti;
Il 4 vale 14 punti;
Il 3 vale 13 punti;
Il 2 vale 12 punti.
Andamento del gioco
Completata la distribuzione delle carte, il gioco inizia con il primo giocatore di mano che cala una carta sul tavolo. La giocata gli consente, eventualmente, di effettuare una presa secondo i medesimi meccanismi che caratterizzano la Scopa:
Prendere una carta di pari valore numerale;
Prendere due o più carte, se la loro somma è pari al valore numerale della carta giocata;
Prendere tutte e quattro le carte in tavola, realizzando una scopa, se la loro somma è pari al valore numerale della carta.
Naturalmente, è altresì possibile che il giocatore non realizzi alcuna presa. Ad ogni modo, dopo la giocata, il turno passa al giocatore successivo; la mano procede in questo modo fin quando il mazziere non ha giocato l’ultima carta a sua disposizione. Dopo di che, si procede al conteggio dei punti totalizzati da ciascuna squadra.
Calcolo del punteggio
Durante una mano di Scopone scientifico, si possono mettere a segno i seguenti punti:
Scopa: vale 1 punto, e viene assegnato alla squadra il cui giocatore raccogliere tutte le carte sul tavolo con una sola presa. Con una sola eccezione: nello Scopone l’ultima scopa non vale, ossia non consente di totalizzare alcun punto. In altre parole, se con l’ultima giocata, il mazziere prende tutte le carte, la giocata non vale come punto di scopa. In alcune varianti del gioco, a discrezione degli sfidanti, è possibile applicare le regole de ‘l’Asso piglia tutto’, prevedendo la possibilità di realizzare una scopa giocando un Asso (a patto che non ve ne sia un altro sul tavolo);
Denari: vale 1 punto. Se lo aggiudica la squadra che ha collezionato almeno sei carte del seme di Denari;
Carte o Lunghi: vale 1 punto; viene riconosciuto alla squadra che ha preso più della metà delle carte del mazzo, ossia almeno 21;
Settebello; guadagna 1 punto alla squadra il cui giocatore è riuscito a prendere il 7 del seme di Denari;
Primiera o Settanta, valida anch’essa 1 punto. Si assegna alla squadra i cui giocatori sono in grado di totalizzare il punteggio più alto con quattro carte di seme diverso. A tal proposito, si fa riferimento alla scala dei valori indicata in precedenza. Esempio: con tre 7 e un 5, una squadra totalizza 78 (21+21+21+15); l’altra, di conseguenza, avrà preso un solo 7 e pur avendo i 6 di tutti e quattro i semi, non può andare oltre i 75 punti (21+18+18+18) in quanto dal computo va escluso il 6 appartenente allo stesso seme del 7.