Tipiche della provincia di Brescia, le carte bresciane sono il mazzo utilizzato in provincia di Brescia; pur essendo di seme italiano come quelle diffuse nella vicina Bergamo, presentano alcune differenze significative, soprattutto dal punto di vista iconografico.
Storia delle carte bresciane
Le carte bresciane hanno origini molto antiche; la struttura e il disegno dei semi presenta numerose analogie con alcuni mazzi di origine araba (i ‘naibbi’) risalenti al XII° secolo, oggi conservati al Museo Topkap di Istambul. È probabile che le carte da gioco orientali siano arrivate nel Bresciano a seguito della conquista da parte di Venezia (1426); non a caso, come quelle bergamasche, anche le carte bresciane derivano dal mazzo trevisano (o “veneto”) in uso già nel Cinquecento nei territori sottoposti al dominio della Serenissima.
Una delle testimonianze dell’antica tradizione cartaria in area bresciana è un’ordinanza cittadina risalente al 23 gennaio del 1698 che sanciva l’apposizione del bollo rosso sul re di bastoni e il re di spade; fuori città, invece, il bollo (di colore verde), veniva apposto sul tre di coppe e il tre di denari. La produzione di carte da gioco a Brescia si consolidò notevolmente, tant’è che a metà Ottocento in città operavano due fabbricanti: la Ditta Francesco Mutinelli e la più nota Accurata Fabbrica Cassini&Salvotti che all’Esposizione Bresciana del 1904 vantava una produzione di duecentomila mazzi, non solo bresciani ma di altri tipi regionali italiani. I mazzi fabbricati da Cassini, oggi piuttosto rari, venivano venduti in astucci decorati con la Vittoria Alata; la ditta produceva anche “cartine” in formato ridotto per i bambini, uscite di produzione dopo il 1972, a causa dell’abolizione del bollo. Agli anni Settanta risale anche un tentativo di ‘variazione sul tema’ da parte della Italcards: l’azienda produsse un mazzo bresciano da 40 carte (con disegno leggermente diverso) che non ebbe particolare successo.
Carte da gioco bresciane: quali sono le caratteristiche
A differenza di quello bergamasco, il mazzo bresciano viene stampato soltanto nella versione da 52 carte e presenta figure intere anziché speculari. I semi sono quattro (spade, coppe, fanti e bastoni) e contano tredici carte ciascuno; quelle numerali vanno, progressivamente, dall’1 al 10 mentre le tre figure sono il fante, il cavaliere e il re. Le misure estremamente ridotte (43×88 mm) ne fanno le carte regionali più piccole d’Italia.
L’iconografia tradizionale prevede che le figure siano raffigurate in modo semplice, con pochi dettagli; le vesti sono decorate con motivi geometrici e colori vivaci (rosso, blu e giallo). Una delle carte più caratterizzate è il fante di coppe: la figura ha un cane bianco vicino alla gamba destra e per questo in dialetto prende il nome di “fant cagnì” mentre per via del mantello che porta sulle spalle viene chiamato anche “fant gòp”, ossia “fante gobbo”. Poiché nell’iconografia cristiana anche San Rocco è raffigurato con al fianco un cane, il fante di coppe del mazzo bresciano viene spesso chiamato anche “san Ròch”. Altra carta facilmente riconoscibile è il re di bastoni, sul quale c’è raffigurato un cerchio dove, fino al 1862, era apposto il bollo.
Le spade, come in tutti i mazzi di seme italiano, sono disegnate come scimitarre dalla lama particolarmente incurvata; nei numerali si incrociano definendo dei rombi, all’interno dei quali trovano posto delle semplici decorazioni (simili a stemmi araldici) tranne che nel 7 e nel 9, in cui sono riportate le cifre del numerale della carta. Nel due di spade, lo spazio delimitato dall’incrocio delle due lame è decorato con lo stemma dello stampatore o una bandiera; in dialetto bresciano, questa carta viene chiamata “figa de fèr” oppure “felépa sènsa péi” (“vagina di ferro” o “senza peli”) o, ancora “du fì” (“due fino”) mentre in alcuni giochi è “la mata” (ossia una carta dal valore particolare). Per simmetria, il due di bastoni è la “figa de lègn”.
Altra denominazione dialettale è quella riservata al due di denari, alla quale spesso i giocatori fanno riferimento come “i bale de l’orso” (i testicoli dell’orso) oppure “i bale de fra Giöle” (“le palle di frate Giulio”), dove “bale” sta sia per “testicoli” che per “frottole”. Non a caso, si tratta anche di un’espressione dialettale per indicare un’affermazione palesemente falsa. Il dieci di denari, invece, è il “des bù” (ovvero il “dieci buono”). Infine, l’asso di coppe viene chiamato anche “angiulina”, per via dell’angioletto raffigurato sopra la coppa, e il quattro di spade, che di solito presenta una figura femminile nello spazio interno alle lame incrociate, è detto la “Madonnina dei prati”.
Giochi con le carte bresciane
Le carte bresciane sono molto versatili, in quanto consentono di fare numerosi giochi, anche quelli che richiedono un mazzo da 40 carte come la Scopa, lo Scopone o la Briscola. Tipico della provincia bresciana è la Cicera bigia, da giocare con il mazzo completo da 52. Si tratta di una variante della Scopa, giocata fin dal Settecento.
Detta anche “Ciccera biccera”, si gioca in quattro (due contro due); ogni giocatore riceve dodici carte coperte mentre le quattro restanti vengono messe scoperte sul tavolo. Il gioco si sviluppa in maniera molto simile alla Scopa, con la sola differenza che le figure non hanno valore di presa, se non rispetto ad altre figure (con un re si può prendere solo un alto re e così via). Vince chi fa più punti o prende tutte le carte dello stesso seme (Napoleone). I punti di mazzo sono:
Carte: 2 punti alla coppia che prende 27 carte; in caso di parità, un punto a testa;
Spade: un punto a chi prende almeno 7 carte di spade;
Napola: si assegna il punteggio pari alla carta più alta di una sequenza continua dello stesso seme;
Mata: 1 punto per chi prende il due di spade;
Dieci denari: 1 punto;
Fante di coppe: 1 punto.
I punti di gioco sono la scopa (presa di tutte le carte sul tavolo), Picchiata, Simili (presa con stessa figura o seme), Quadriglia e Cinquina (presa di tre e quattro carte).