Carte triestine: una storia affiscinante per un mazzo mitico


Diffuse a Trieste e in Bisiacaria, oltre che in alcune zone di Slovenia e Croazia (Istria e Dalmazia), le carte triestine sono un mazzo regionale di seme italiano, molto simili a quelle trevigiane in uso nel resto del Friuli e in Veneto. I due mazzi presentano numerose analogie, sia per quanto concerne l’iconografia sia per lo stile dei semi, con le caratteristiche scimitarre curve a simboleggiare il seme di Spade.

Carte da gioco triestine: la storia

Le carte triestine derivano direttamente dalle trevisane, diffuse in Veneto e Friuli, come si evince dalle numerose affinità grafiche. Treviso vanta una tradizione molto antica in materia di carte da gioco, testimoniata da un mazzo quattrocentesco molto simile a quelli importati dagli arabi nei secoli precedenti. Nel corso della prima metà dell’Ottocento, mentre le carte trevigiane assumono progressivamente un disegno definitivo (molto simile a quello attuale), si registra l’avvio della produzione del mazzo triestino, probabilmente per iniziativa del fabbricante di carte Giovanni Battista Marcovich (o Marcovicii) che, nel 1837, acquista la fabbrica che Bartolomeo Mengotti, dopo un apprendistato in Veneto, aveva aperta a Trieste nel 1813. La produzione di carte da gioco in città ricevette nuovo slancio nel Secondo dopoguerra quando una famosa azienda di Trieste, che all’epoca fabbricava cartine per sigarette, cominciò a dedicarsi alle carte regionali, dal momento che le sigarette preconfezionate importate dagli americani avevano fatto calare la richiesta di cartine.

Caratteristiche delle carte triestine

Il mazzo triestino si compone di 40 carte, divise in quattro semi (denari, spade, coppe e bastoni); ciascuno di questi conta dieci carte, che includono sette numerali (dall’1 al 7) e tre figure, ossia un fante, un cavaliere e un re, raffigurate in maniera speculare. Curiosamente, mentre le numerali sono indicizzate in maniera progressiva con le cifre dall’1 al 7, le figure sono contrassegnate con i numeri 11, 12 e 13 riportati, rispettivamente, sul fante, il cavaliere e il re. Questa peculiarità è dovuta al fatto che in origine il mazzo includeva altre tre carte numerali (l’8, il 9 e il 10) e, di conseguenza, contava 52 carte anziché 40 (se ne può ammirare uno esposto al Museo Correr di Venezia). Altra particolarità è la presenza di una banda bianca che divide le figure a metà e ne riporta la descrizione (“Caval di danari”, “Fante di bastoni”, “Re di spade” e così via) che, a differenza delle immagini, non è speculare ma leggibile solo in un verso. Le carte numerali sono tutte indicizzate, ossia riportano la cifra corrispondente in alto a destra e in basso a sinistra; su quelle di Bastoni, l’indicazione numerica è riportata anche all’interno del rombo individuato al centro della carta dall’intersezione delle figure. Lo stesso dicasi delle numerali di spade, con la sola differenza che l’incrocio delle lame individua due spazi romboidali (uno in alto e uno in basso), fatta eccezione per il 3 di spade, in cui uno dei due numeri ‘3’ è riportato sull’elsa della spada centrale. Le carte triestine riprendono anche un’altra caratteristica di quelle trevigiane: le iscrizioni sugli assi di ciascun seme. Si tratta, anche in questo caso, di motti o proverbi, che variano anche in base all’azienda che fabbrica il mazzo. Di seguito, quelli più diffusi:
  • Sull’asso di denari: “Son gli amici molto rari quando non si ha denari” (in genere nei mazzi Dal Negro), “Oggi val molto di più il denar che la virtù” e “Non val saper a chi ha fortuna contra” (presente anche nei mazzi trevisani);
  • Sull’asso di spade: “Il gioco della spada a molti non aggrada” oppure “La spada corregge chi offende la legge”;
  • Sull’asso di coppe: “Una coppa di buon vin fa coraggio fa mor bin”, ossia “una coppa di buon vino fa morir bene”;
  • Sull’asso di bastoni: “Molte volte le giocate van finire a bastonate” oppure “Avere un bel baston in mane sempre bon”.
Per concludere, l’asso di denari un tempo ospitava l’imposta di bollo mentre oggi è raffigurato come un disco dorato; l’asso di spade, invece, è particolarmente decorato: l’arma a punta tonda, oltre ad essere cinta da una corona, è affiancata da due grifoni alati. Di contro, le figure non sono molto caratterizzate e appaiono più stilizzate rispetto a quelle presenti sulle carte trevigiane.

Giochi carte triestine, non solo la briscola

Le carte triestine possono essere impiegate per qualsiasi gioco da tavolo che preveda l’utilizzo di un mazzo da 40 carte: Scopa, Scopone, Briscola e Tressette sono certamente i più noti. A questi se ne aggiungono altri, diffusi a livello locale come, ad esempio, il Cotecio (o “Cortecio”), noto anche in Emilia e Lombardia. A Trieste si gioca secondo regole molto simili alla variante bergamasca; ad una partita possono partecipare al massimo 7 giocatori, ciascuno dei quali riceve 5 carte; lo scopo è fare meno punti possibili. Il gioco si svolge così: chi è di mano, cala una carta e gli altri hanno l’obbligo di rispondere cercando di non prendere. La presa va a chi ha giocato la carta con il valore più alto, in base alla seguente gerarchia: Asso, Re, Cavallo, Fante, Sette, Sei, Cinque, Quattro, Tre, Due. Il punteggio si calcola così: 6 punti per l’asso e l’ultima presa, 5 per il re, 4 per il cavallo, 3 per il fante. Il giocatore che prende tutte le carte fa “cappotto” che implica un punto in più per sé e uno in meno per gli avversari. Chi ha perso le prime quattro mani può “andar a trato”, ossia annullare l’ultima giocata. Le regole triestine prevedono anche che un giocatore possa “indottorarsi” o “indotorarse”, un espediente che gli consente, una sola volta, di rientrare in gara.

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